Quell’ansia da social che ci attanaglia tutti

L’hanno già chiamata “generazione ansiosa”, quella parte della nostra comunità nata dopo il Duemila, i nativi digitali che oggi hanno tra i 12 e i 24 anni. Perché generazione ansiosa? La tesi è di uno psicologo americano, Jonathan Haidt, che nel suo ultimo libro – “The Anxious Generation”, per l’appunto – cerca di valutare gli effetti dei social network, e più in generale le conseguenze di una continua dipendenza dallo smartphone, sui ragazzi e sugli adolescenti. Effetti e conseguenze che determinano un aumento di depressione e ansia.

Il libro, ovviamente, è di quelli che fanno discutere. Ma al di là delle valutazioni scientifiche, suffragate da statistiche e ampia documentazione, colpisce il decalogo che viene suggerito per evitare il crescente disagio di un’intera generazione. Dieci regole che, a ben guardare, sembrano essere soprattutto delle indicazioni di buon senso, ma forse non più di senso comune.

Eccole, in estrema sintesi: 1) Prima regola: niente social fino a 16 anni. 2) Un giorno alla settimana dedicato all’astinenza digitale con l’opportunità di trascorrere una serata in famiglia. 3) A tavola, quando si mangia assieme, si lasciano gli smartphone da un’altra parte. 4) Dedicare un’ora al giorno al silenzio: il recupero della riflessione, del pensiero, della meditazione e, perché no, della preghiera. 5) Svolgere un’attività nella natura (anche una semplice passeggiata tra gli alberi). 6) Recuperare la capacità di addormentarsi senza lo smartphone, risposto fuori dalla camera da letto almeno mezz’ora prima di dormire. 7) Lasciare andare i bambini a scuola senza telefonino (che spesso non è una richiesta dei figli, piuttosto il bisogno dei genitori di poterli avere sempre “geolocalizzati”. 8) Sempre per i genitori, iniziare ad utilizzare i sistemi di “parental control”, strumenti che consentono di controllare l’attività in rete dei propri figli. 9) Obbligare le scuole – in Italia siamo rimasti alle direttive ministeriali – a impedire l’uso degli smartphone nell’orario scolastico. 10) Promuovere, soprattutto nel corso dell’estate, campeggi o campus con un periodo di completa disconnessione.

Insomma, garantire ai ragazzi di oggi ciò che, più o meno, era “normale” per i loro coetanei sino a 20 anni fa: la possibilità, cioè, di stare insieme e di giocare liberamente, senza continui controlli con il telefono; di poter stare in compagnia senza essere continuamente disturbati; di poter stare concentrati senza interruzioni; di poter alzare gli occhi ed osservare in mondo reale senza essere costretti allo sguardo abbassato su quello virtuale. Ciò che appare evidente dal decalogo, è che una buona parte dell’ansia dei ragazzi è frutto dei comportamenti (o dell’assenza di precauzione) dei genitori che attraverso gli smartphone messi in mano ai propri figli cercano di sedare la propria, di ansia. Fare i genitori non è mai stato facile, ma esercitare la genitorialità con i sistemi digitali rischia di essere non solo sbagliato, ma persino dannoso.

Ciò che Jonathan Haidt non dice è che c’è, infine, un’ultima generazione che, cresciuta con la televisione a pochi canali e con il solo telefono fisso in casa, si è trovata improvvisamente nel mare aperto delle infinite opportunità. Sono i “boomer”, persone nate negli anni del boom economico e che – ormai è evidente – corrono il rischio di avere un rapporto malato con i social network.

La loro, rischia di essere semplicemente la generazione dell’“ego-social”, una patologia narcisistica che gli algoritmi coltivano. Il post da pubblicare diventa una sorta di panacea per il proprio malessere. Perché “Il mio problema è il problema di tutti”, anche se non lo è, e dunque continuo a pubblicare, insisto: perché il mio problema è “il problema”.

L’ “ego-social” mi mette al centro dell’universo, i problemi degli altri non esistono. Perché c’è solo il mio, di problema. Guardo me stesso, gli altri non esistono. Pubblico decine di post al giorno: raramente sono cose mie, quasi sempre condivido materiale che trovo in rete, che non verifico nemmeno, lo riposto perché anche solo fare questo mi rassicura. Non faccio la fatica di pensare, mi limito ad un clic di condivisione. Poco importa se nessuno legge, se nessuno commenta, se nessuno mette un like.

Posto, posto, posto. A volte a raffica, altre volte non tutti assieme, ma uno all’ora, quando mi collego. A riprova che non passa un’ora senza che io sia sui social. Uno, due, cinque, dieci, anche venti al giorno. Posto, dunque, esisto; busso e poco importa se nessuno risponde, se nessuno apre. L’importante è sentire il suono del mio bussare, mi rassicura, posso guardarmi nello specchio della matrigna di Biancaneve: specchio, specchio delle mie brame, chi è il più attivo sui social del reame? I leoni della tastiera aggrediscono e sputano rabbia, l’edonista dei social si sente consolato e confortato dal proprio narcisismo. Convinto che il mondo lo segua, anche se tutti lo ignorano.
(53 – continua)

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