Il 17 maggio 1981 gli elettori italiani furono convocati alle urne per votare cinque referendum abrogativi proposti dal Partito Radicale che, nelle elezioni di due anni prima, aveva triplicato i consensi: da 1,1% al 3,5%.Il segretario del Partito radicale, Francesco Rutelli, aveva avviato la raccolta di firme. Si chiedeva l’abrogazione del fermo di polizia (al referendum, il quesito ottenne 14,9% sì e 85,1% no); l’abolizione della pena dell’ergastolo (22,6% sì, 77,4% no); abolizione delle norme sul porto d’armi (14% sì, 86% no).L’abrogazione di una parte della legge 194 sull’interruzione della gravidanza anche dopo i 90 giorni dal concepimento (proposta radicale) ottenne l’11,6% di favorevoli, 88,4% di contrari. La proposta di un quesito da parte del “Movimento per la Vita” che voleva rendere più difficile il ricorso all’interruzione di gravidanza, pertanto una modifica in senso restrittivo della legge 194 ebbe il 32% di favorevoli, il 68% di votanti contrari.In buona sostanza tutti e cinque i quesiti referendari abrogativi furono respinti.
I cartelli che invitavano la popolazione a votare per l’abrogazione parziale della legge sull’aborto, di iniziativa del “Movimento per la Vita”, furono affissi anche alle porte delle chiese. Nella fotografia, Strigno, in Valsugana. Anche se si fosse voluto brindare ai risultati del referendum, le damigiane erano vuote. Le taniche di carburante, pure.Metafora dello strumento referendario che negli ultimi anni si è fermato.
Dal 1946, in Italia, si sono svolti 71 referendum di cui 67 abrogativi. L’ultimo, il 17 aprile 2016, sulla proroga delle concessioni di estrazione di idrocarburi nel mare Adriatico non ha raggiunto il quorum.
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