Ha chiuso il Festival di Cannes, il nuovo film d’animazione della Pixar- Disney uscito la settimana scorsa nelle sale italiane. Si intitola Elemental e a dirigerlo – ma anche a pensarlo – c’è Peter Sohn, l’autore del Viaggio di Arlo (2015). Classe 1977, attivo nella Pixar dai tempi di Alla ricerca di Nemo (2003), e prima ancora figlio di immigrati coreani che ha sposato un’americana di origini italiane. Il dato biografico ha il suo peso in Elemental che mette in scena l’unione degli opposti attraverso la storia di Ember Lumen, figlia anch’essa di immigrati che hanno trovato casa a Element City dove hanno aperto un negozio che passerà a lei appena pronta, e di Wade, autoctono, figlio di una famiglia più numerosa e di vedute ‘liquide’, che arriva a includere una coppia dello stesso sesso (il tema è accennato di sfuggita ma è la prima volta in un film a target familiare). Fosse qui il punto, nell’inclusione del diverso, nella convivenza multietnica o nell’individuazione psicologica della protagonista rispetto ai genitori, non ci sarebbe nulla di nuovo. La vera sfida è portare l’inclusione a livello estremo, nell’amore unitivo tra due elementi opposti come fuoco (lei) e acqua (lui), che non “reagiscono” soltanto tra loro, come annuncia la locandina, ma si estinguono reciprocamente. Come possono pensare di amarsi?
La risposta è nascosta in fondo al Cantico dei cantici: perché forte come la morte è l’amore… le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo… dunque ponimi come sigillo sul tuo cuore! Il film non lo cita e magari non lo ha neppure presente, ma lo mette in immagine. E quando riesce finalmente a superare gli inciampi della macchinosità allegorica (è il rischio maggiore di queste storie alla Inside Out) e a librarsi nel simbolico puro, il racconto decolla, straripa visivamente, emoziona, convince.
Certo non è un film per bambini, per questo probabilmente il riscontro al botteghino nei primi giorni non è felice. Con il 100° film Disney, la Pixar immette la pressione pirotecnica nel canale del pensiero prerazionale, ana-logico che insegue da sempre. Come Ember, lascia la casa paterna (l’ibridazione sentimentale delle fiabe occidentali che pure ha fatto la fortuna della Premiata Ditta) sulle tracce di un sapere che affonda nel mistero, che può essere sfiorato, non detto, ma ‘immaginato’. In senso letterale. Con un rispetto profondo per la potenza dell’immagine. E pure per la casa-madre. Come il saluto che figlia e padre si scambiano al termine del film nell’intraprendere una strada diversa, conforme al talento personale.
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