Occorrerebbe un passo audace, capace di addentrarsi in territori inesplorati, di aprire nuovi sentieri
Stai “dialogando” sul tema “comunità parrocchiali” che, per sostanza pastorale di fede e di organizzazione, riveste vitale importanza per le nostre chiese “locali”. Nella mia parrocchia, insieme a una trentina di volontari, assistiamo circa 40 famiglie indigenti – 198 famiglie in 9 anni!- dal punto di vista alimentare attraverso un negozio gratuito chiamato “Pane della Misericordia”. Davvero la “carità”, che converte il cuore e sporca le mani, la si impara “facendola”. Venendo al problema della gestione della parrocchia, qualche anno fa avevo divulgato un documento all’interno della mia comunità. Tra l’altro scrivevo: “La presenza attiva dei cosiddetti laici, scelti pro tempore dalla Comunità, deve assumere dirigenza essenziale di condivisa e collegiale guida pastorale, spiritualmente assistita e garantita dal carisma sacerdotale”. Seguiva un elenco di proposte concrete. Non ho avuto grande accoglienza da parte del parroco che invece si è rivelato abbastanza restio a queste istanze. Come valuti questa situazione?
Arrigo
Grazie per la tua lunga lettera che, per ragioni di spazio, ho dovuto drasticamente riassumere. Essa mi dà lo spunto per evidenziare come la vita parrocchiale si svolga su vari piani, da quello del servizio a quello liturgico, fino alle varie incombenze gestionali e organizzative. Al centro ovviamente resta la celebrazione domenicale attraverso cui una comunità, a prescindere dalle sue forme concrete, nasce e vive. La Messa nel giorno del Signore – con la presenza del sacerdote – è il fulcro della vita cristiana; non possiamo mai prescindere da essa. Poi possiamo discutere su tutto: sulla “rotazione” della Messa da un paese all’altro quando l’unità pastorale è molto estesa; sulle liturgie feriali (rosario, Via crucis, funzioni senza consacrazione eucaristica…) che già vedono un grande attivismo da parte dei fedeli laici.
Dalle tue parole però si coglie un problema che serpeggia dentro le nostre comunità: mi riferisco alla strisciante contrapposizione tra il prete – magari con la sua conventicola di fedelissimi – e il resto dei laici che vorrebbero impegnarsi di più, ma che non sono “lasciati fare”. È necessario rendersi conto che questa tendenza esiste. Bisogna però capirne le ragioni. Viviamo un momento di passaggio verso una ridefinizione della figura e del ruolo del prete, e quindi del clero e quindi della gerarchia, con conseguenze molto significative per tutti i credenti. Molte cose cambieranno, per forza se non per volontà.
Forse occorrerebbe un passo audace, capace di addentrarsi in territori inesplorati, di aprire nuovi sentieri. Per qualcuno bisognerebbe correre più in fretta per non ritrovarsi troppo indietro. Sappiamo però che, per andare in montagna, il passo migliore è quello continuo, cadenzato, lento, ma perseverante. Credo che il nostro vescovo, uomo di montagna, lo conosca bene. In questo senso può sembrare una goccia nell’oceano il fatto che il suo segretario per la prima volta sia un laico; ma se a queste decisioni ne seguono altre convergenti, allora capiamo che qualcosa si muove per davvero. Anche l’affidamento di 18 ex parrocchie a un singolo prete, coadiuvato da 5 sacerdoti anziani, vuol dire che, quando essi verranno meno, al loro posto ci dovranno essere operatori laici.
Il vicario generale, don Marco Saiani, in un’intervista su VT, sembra confermare: “Il fatto che i parroci abbiano territori più vasti comporta che aumenti la collaborazione con loro, non solo da parte dei preti anziani, ma proprio dei laici. In questo senso le Unità pastorali sono una realtà che viene ancora prima della figura sacerdotale: un prete si troverà a coordinare più Unità pastorali”.
Concretamente non è possibile pensare a un modello unico. Guardando al Trentino la differenza tra valli e città è molto grande: i paesi più piccoli sono svantaggiati e per loro occorrerà sviluppare una particolare pastorale. La situazione non è semplice e si corre il rischio di vedere in breve tempo paesi disabitati e chiese vuote. Questo per accennare soltanto alla trasformazione in atto.
Alla fine quello che conta è la qualità dei rapporti tra il sacerdote e i laici impegnati. Si andrà avanti solo se il parroco riuscirà a delegare sempre più mansioni ai fedeli i quali, a loro volta, dovranno sentirsi responsabili della vita della comunità. E come hai raccontato tu, nonostante queste difficoltà, le nostre parrocchie sono vive e incidono profondamente anche sul quartiere in cui sono ubicate.
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