A volte i film piacciono perché offrono allo spettatore scenari davvero insoliti e sconosciuti, ambientazioni esotiche, insomma sono come viaggi in luoghi estremi; un po’ come il cinema delle origini, ovvero una straordinaria finestra sul mondo. Oggi, nell’era globalizzata e tecnologica, tutto ciò è sempre più raro, ma ci sono ancora cinematografie che vivono, rappresentano la periferia, come il cinema islandese; del resto l’Islanda anche geograficamente è proprio la periferia del mondo.
Dal 12 novembre è arrivato nelle sale Rams – storia di due fratelli e otto pecore, un originale film di Grimur Hàkonarson, vincitore della sezione Un certain regard al Festival di Cannes 2015.
Rams mette in scena il quotidiano per niente turistico e accattivante della fredda e innevata Islanda, raccontando con uno stile nudo e silenzioso, la storia di due fratelli, Gummi e Kiddi, allevatori di una specie di pecore molto antica e pregiata.
I due fratelli, pur vivendo l’uno accanto all’altro, non si parlano da più di 40 anni, si scambiano pochi bigliettini tramite un cane messaggero. Anche se il loro volersi bene è palpabile ed evidente, i due fratelli sono incapaci di esprimere tenerezza e affetto, forse si potrebbe dire che sono “geograficamente” incapaci per via di quella fredda e solitaria terra dove regna la quotidiana sopravvivenza.
Le cose cambiano quando un’epidemia degli ovini costringe i pastori ad abbattere le pecore, ma Gummi non ce la può fare; per lui quegli animali rappresentano il centro anzi il baricentro della vita, perché esprimono la tenerezza, le emozioni, le parole di cui ha bisogno e di cui non può privarsi. Ucciderle sarebbe come privarsi della parte sentimentale di se stesso, cosicché nasconde un montone e sette pecore a casa sua.
Questa epidemia che porta ad una frattura della vita quotidiana, produce in qualche modo una riconciliazione tra i due fratelli. Un nuovo legame che si esprime non a parole, bensì si visualizza tramite pochissimi gesti. Sono le immagini dell’improvvisa nudità dei corpi possenti e vulnerabili, che rappresentano concretamente questo viscerale e fraterno legame. Fino ad arrivare al drammatico e commovente abbraccio finale dei corpi nudi immersi e sommersi da una tempesta di neve che raggela le parole ma scalda i cuori.
Molto bravi i due attori, tra cui spicca Sigurour Sigurjònsson una celebrità in Islanda come attore cabarettista. Tanto la regia è scarna, così la sua recitazione è ridotta all’osso di pochissime espressioni e mimiche del volto, quanto basta però a esprimere la profondità di questo essenziale pastore errante in terra di Islanda.
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