Oggi più che mai parlare ai ragazzi di Shoah è fondamentale, per costruire la cultura necessaria a creare una memoria collettiva ed esserne nuovi testimoni. Per introdurre ai più giovani un tema importante come quello delle persecuzioni razziali anche attraverso le letture, a gennaio, in occasione del Giorno della memoria, molti editori pubblicano (o ripubblicano) diversi titoli per narrare e spiegare ciò che è stato.
Storie di chi ancora può raccontare, come Lia Levi, autrice dell’ormai classico “Una bambina e basta” uscito per e/o nel 1994 e ripubblicato quest’anno da HarperCollins. E’ il primo libro della Levi, un romanzo autobiografico in cui a lei bambina, appena finita la prima elementare, viene vietato di tornare in classe. Mussolini, che comanda su tutti, non vuole più i bambini ebrei nelle scuole. In realtà non vuole gli ebrei da nessuna parte. I perché nella testa di Lia crescono ogni giorno e solo a guerra terminata sentirà dire dalla sua mamma che lei non è una bambina ebrea, è una bambina e basta.
La storia di Lia è presente insieme a diverse altre anche in “I bambini raccontano la Shoah” (Sonda) in cui l’autrice, che le ha selezionate e narrate, raccoglie l’eredità dei suoi genitori ebrei polacchi che hanno vissuto la guerra da piccoli. Con l’introduzione di David Grossman, queste vicende di bambini durante la Shoah ricordano oggi il valore della vita e l’importanza di saper riconoscere il male e combatterlo con coraggio e dignità.
Coraggio e solidarietà in tempo di guerra sono al centro anche di “Mai più” (Giunti), la graphic novel di R.J. Palacio, autrice dell’indimenticabile “Wonder”. Ed è proprio dal mondo gentile di Wonder che prende vita questa storia. E’, infatti, la nonna di questo ragazzino, che racconta la sua commovente vicenda di giovane ebrea francese. Una vita tranquilla finché il nazismo non gliela distrugge obbligandola alla fuga, immergendola nella paura e costringendola alla lotta per la sopravvivenza. Unica sua forza è la sua gentilezza che illumina il suo triste destino e quello delle persone che incontra. Gentilezza che può cambiare i cuori, costruire ponti e anche salvare vite.
Giorgio Perlasca possedeva la stessa gentilezza, e tanto coraggio. Nei suoi diari racconta delle molte vite che è riuscito a salvare. Ispirato a una di queste storie vere è “La musica del silenzio” (Feltrinelli). Raul vive a Budapest, si allena in piscina col padre, impara a suonare il pianoforte con la madre e bisticcia con Marian, la sorellina. Tutto finisce con l’arrivo dei tedeschi e la presa del potere dei nazisti ungheresi. Raul vive come un dramma e un’umiliazione continua la nuova situazione, soprattutto a scuola, mentre Marian riesce a trovare sempre un aspetto divertente in ogni cosa. Un giorno il padre, in giro per la città alla ricerca di documenti, non fa più ritorno a casa e la madre viene portata via dai soldati. Da questo momento i due fratelli devono pensare a sopravvivere, contando solo sulle proprie forze. Ci riusciranno grazie all’agire coraggioso di un finto ambasciatore spagnolo: Giorgio Perlasca, un italiano che a Budapest salvò più di cinquemila ebrei.
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