Parlami di te, la lezione della fragilità

Un’inquadratura del film “Parlami di te”

Nuova settimana sull’isola di Quaresima (vedi la scorsa “Proiezioni”) e un nuovo film per accompagnare questo tempo. In realtà si tratta di una commedia francese uscita nelle sale italiane un anno fa con il titolo Parlami di tesenza trovare riscontro di pubblico e di critica, nonostante il richiamo che Fabrice Luchini, protagonista incontrastato del racconto e della commedia transalpina, esercita anche in Italia.

Un anno dopo, il film sembra perfetto.

È la storia di un grande manager di una fabbrica di automobili francese avvezzo al potere, puntato come un razzo sui suoi obiettivi, senza tempo e riguardi per nessuno. Incluso se stesso. Strano che a un certo punto gli arrivi un ictus?

L’ischemia gli darebbe anche varie avvisaglie, ma lui inchiodato al motto “Mi riposerò quando sarò morto”, non dà ascolto e tira avanti. Per fortuna non lo fa il suo autista, altrimenti sarebbe davvero arrivato al riposo eterno…

La vicenda è tratta da una storia vera, quella dell’amministratore delegato della Peugeot Christian Streiff, che egli stesso ha raccontato nell’autobiografia J’étais un homme pressé (Ero un uomo pressato, senza tempo) e Un homme pressé è il titolo originale della commedia scritta e diretta da Hervé Mimran.

Nel film – in cui si affaccia anche il vero Christian, come a certificare il racconto – il manager si chiama Alain Wapler, vedovo con una figlia ventenne, Julie, che vorrebbe l’attenzione del padre, e un cane che egli ignora al pari della figlia.

Non ha sentimenti, l’uomo; di più, non sente proprio gli altri e le loro esigenze. Così come non ha sentito il proprio corpo. È tutto testa, azione, funzione ed ego. Smisurato. Non conosce la fragilità anche se gli vive accanto (quella della figlia, per esempio e, prima, la malattia della moglie che si intuisce solo attraverso le parole di Julie, e dalla presenza di una stanza nella casa, non a caso chiusa). Imparare a riconoscerla in sé per riuscire ad aprire altre stanze di sé e affacciarsi alle istanze degli altri, sarà un lungo cammino di rieducazione che coinvolgerà la figlia, una giovane ortofonista e un giovane infermiere. E pure il cane.

Ma prima di riuscirci, Alain dovrà dare un sacco di testate contro i muri che lui stesso e quelli come lui hanno eretto e trasformato in un modello di vita che ci condiziona tutti.

Il percorso di trasformazione di un uomo che non diceva mai “grazie”, è giocato in modo brillante e lieve, sulla comicità suscitata da chi, colpito nel linguaggio, è ancora convinto di saper parlare e ancora pretende di essere inteso e di dettare l’agenda. Sotto la superficie, tuttavia, c’è un non detto che oggi è diventata realtà comune. E soglia per una possibile rinascita.

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