Dall’isola Fergusson, la principale di un arcipelago a Est di Papua Nuova Guinea, dove svolge attualmente la sua missione, don Sandro De Pretis, sacerdote fidei donum di origine trentina, rilancia la notizia del fermo da parte della polizia del vescovo di Alotau-Sideia: colpevole solo di aver chiesto chiarimenti circa una controversa azione della polizia locale. L’episodio risale ai primi di settembre e rivela tutte le contraddizioni di un Paese potenzialmente ricchissimo di risorse naturali, come don De Pretis ha avuto modo di illustrare ai nostri lettori in occasione della sua ultima visita in Trentino, nel novembre dell’anno scorso, ma incapace di andare oltre un’economia di pura sussistenza e afflitto dalla piaga endemica della corruzione. La notizia è stata ripresa in Italia dal quotidiano cattolico Avvenire.
Fermato e interrogato dalla polizia locale, rilasciato su cauzione e in attesa di processo: è quanto capitato a monsignor Rolando Santos, vescovo di Alotau-Sideia, che insieme al segretario locale dell’educazione cattolica aveva denunciato un raid compiuto da un commando della polizia contro un compound di Alotau. Da mesi le forze dell’ordine locali sono impegnate nella caccia a gang criminali che agiscono nella zona.
Secondo quanto riferito dal vescovo Santos, che è alla guida della diocesi dal 2011, le forze di polizia si sono presentate all’alba al Daga Compound accusando gli abitanti di proteggere criminali ricercati dalla polizia. Un’accusa respinta con forza, ma inutilmente.
La task forze della polizia dopo aver fatto allontanare i residenti dava alle fiamme 19 abitazioni, senza preavviso e senza che vi fosse una disposizione della magistratura in tal senso. Tra l’altro, una delle case apparteneva al segretario dell’educazione cattolica. Secondo quanto riferito da testimoni oculari, gli agenti sembravano aver bevuto e fumato marijuana. Secondo alcuni dei residenti, le accuse nei loro confronti di dare ospitalità a criminali erano solo una scusa per allontare gli abitanti da una zona in cui vivevano da più di 60 anni.
In seguito, il comandante provinciale della polizia ha affermato di non essere a conoscenza del raid dei suoi uomini e di non sapere quali poliziotti fossero coinvolti.
Il vescovo Santos ha riconosciuto che è compito della polizia combattere la criminalità, ma che ciò va fatto rispettando la legge. Gli abitanti le cui abitazioni sono state distrutte non hanno avuto modo né di raccontare la loro versione dei fatti ribattendo all’accusa né di difendersi legalmente.
Come ricordato nel Rapporto 2017/2018 di Amnesty International, nel Paese la violenza da parte delle forze di sicurezza è continuata in modo endemico “e ha colpito con più frequenza reclusi, rifugiati e donne”. Inoltre, in coincidenza con le elezioni nazionali tenutesi tra giugno e agosto, “le denunce di corruzione, la cattiva gestione, la diffusa esclusione dei votanti e la mano pesante da parte delle autorità hanno portato a un’atmosfera molto tesa, che in alcuni casi è sfociata in violenze e arresti”. Le violenze causate dalla contesa dei seggi dopo le elezioni “hanno provocato la morte di almeno 20 persone e l’incendio di circa 120 case nelle province di Enga e degli Altopiani del Sud”.
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