Sessant’anni fa – l’11 aprile del 1963 – papa Giovanni XXIII donava al mondo un documento fondamentale, l’enciclica Pacem in Terris. Lo faceva in pieno Concilio Vaticano II, senza attenderne la conclusione, forse nella consapevolezza dell’urgenza, allora come oggi, di porre le basi per una vera pace e del fatto che i suoi giorni terreni stessero volgendo al termine. In quei mesi le Chiese del Trentino Alto Adige vivono un tempo sofferto di svolta. Il vescovo Joseph Gargitter, dall’inizio del 1961, ha retto la diocesi di Trento in qualità di amministratore apostolico.
Nel febbraio del 1963 è stato nominato il nuovo arcivescovo, Alessandro Maria Gottardi, che farà il suo ingresso ufficiale a Trento (e Bolzano) nel mese di maggio. Sono mesi in cui i due vescovi, Gottardi e Gargitter, imparano a conoscersi, tra Bolzano, Trento e Roma, dove insieme partecipano ai lavori del Concilio. Di lì a poco più di un anno l’annosa questione della ridefinizione dei confini tra i due territori diocesani avrà un esito definitivo con la creazione della diocesi di Bolzano-Bressanone. È l’agosto del 1964.
Questi sviluppi vanno collocati nel contesto della Chiesa universale, con le novità sul piano della riflessione teologica e delle dinamiche ecclesiologiche. L’enciclica Pacem in Terris – così come alcuni documenti conciliari – offre le basi ideali per un provvedimento che ha come orizzonte principale quello dell’unità nella diversità. Valorizzare le specificità etniche e culturali, riconducendole all’unica comunità di fede, dando così un contributo determinante ad evitare derive etnocentriche e nazionalistiche. “Dal XIX secolo – scrive papa Giovanni – una tendenza di fondo assai estesa nell’evolversi storico è che le comunità politiche si adeguano a quelle nazionali. Però, per un insieme di cause, non sempre riesce di far coincidere i confini geografici con quelli etnici: ciò dà origine al fenomeno delle minoranze e ai rispettivi complessi problemi”. Ed ecco le indicazioni del pontefice: “Va affermato nel modo più esplicito che una azione diretta a comprimere e a soffocare il flusso vitale delle minoranze è grave violazione della giustizia; e tanto più lo è quando viene svolta per farle scomparire. Risponde invece ad un’esigenza di giustizia che i poteri pubblici portino il loro contribuito nel promuovere lo sviluppo umano delle minoranze, con misure efficaci a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro costume, delle loro risorse ed iniziative economiche”.
Segue immediatamente l’appello alle minoranze a non chiudersi nel proprio guscio, aprendosi a ciò che accomuna tutti gli esseri umani. “Sulla terra esiste un numero rilevante di gruppi etnici, più o meno accentuatamente differenziati l’uno dall’altro. Però gli elementi che caratterizzano un gruppo etnico non devono trasformarsi in uno scompartimento stagno in cui degli esseri umani vengano impediti di comunicare con gli esseri umani appartenenti a gruppi etnici differenti: ciò sarebbe in stridente contrasto con un’epoca come la nostra, nella quale le distanze tra i popoli sono state quasi eliminate. Né va dimenticato che se, in virtù delle proprie peculiarità etniche, gli esseri umani si distinguono gli uni dagli altri, posseggono però elementi essenziali comuni, e sono portati per natura a incontrarsi nel mondo dei valori spirituali, la cui progressiva assimilazione apre ad essi possibilità di perfezionamento senza limiti. Deve quindi essere loro riconosciuto il diritto e il dovere di vivere in comunione gli uni con gli altri”.
L’enciclica è pubblicata proprio mentre i due vescovi cominciano a esaminare insieme la realtà altoatesina e, dunque, la questione delle minoranze. Nel settembre di quell’anno Gottardi e Gargitter prenderanno spunto proprio dalla Pacem in Terris per una lettera pastorale comune indirizzata a entrambe le diocesi, funestate da diversi attentati dinamitardi. “Presupposto indispensabile – scrivono i due vescovi – per il superamento delle difficoltà attuali e per la realizzazione di una convivenza ordinata e pacifica, in Alto Adige come ovunque, è e resta la fedeltà ai principi della dottrina sociale cristiana. Tali principi, specie per quanto riguarda i diritti e i doveri dello Stato e delle minoranze etniche inserite nella compagine statale, sono stati ripetutamente chiariti in vari documenti Pontifici”. Non può sussistere, “anche in questo paese, speranza di pace, finché l’ordine da Dio stabilito per la convivenza umana non diviene norma di vita dei singoli e della intera compagine sociale”. Il che non è altro che un richiamo all’incipit della Pacem in Terris: “La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio”.
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