“One life”, la vita straordinaria di un uomo ordinario

Fine anni Trenta del secolo scorso, Nicholas Winton è un agente di cambio inglese. Durante un viaggio a Praga si accorge della situazione drammatica in cui si trovano centinaia di famiglie e bambini: l’ascesa del nazismo in Germania e la sua politica espansionistica, infatti, stanno creando molti sfollati nei territori confinanti. Decide, allora, di provare a mettere in salvo almeno i più piccoli. Aiutato da alcune persone, inizia ad organizzare una serie di treni per far arrivare in Inghilterra quanti più ragazzi possibile. Il lavoro non è semplice perché il governo inglese chiede sia i documenti di coloro che vengono trasportati che la garanzia della presenza di famiglie affidatarie una volta giunti sull’isola. Simultaneamente, autorizzando questa operazione umanitaria, è necessario stare attenti a non commettere errori sul piano diplomatico (né con la Germania né con la Cecoslovacchia) vista la delicatissima situazione internazionale. Un treno dopo l’altro, riuscirà a mettere in salvo ben 669 persone. Dopo l’ultimo treno, nel 1939, la storia restò nascosta fino al 1988 quando, dopo aver visionato i documenti, il noto programma televisivo inglese That’s life! portò in studio Winton con molti dei bambini da lui salvati (ormai divenuti adulti).

One life” è una storia che sicuramente richiama alla memoria quella vista nel bellissimo Schindler’s list, film del 1993 diretto da Steven Spielberg, anche se bisogna riconoscere che la qualità artistica è un po’ inferiore.

Volentieri si può riconoscere che il risultato finale è ottimo. La scelta della sceneggiatura di utilizzare due linee temporali intrecciate tra loro (Winton da anziano che mette mano ai documenti dei bambini e decide di portare la storia in televisione e lo stesso protagonista da giovane che si dà da fare per mettere in salvo i bambini) è quanto mai indovinata: i salti temporali, infatti, rendono l’intreccio più avvincente senza confondere lo spettatore. Anche il cast, primo fra tutti uno splendido Anthony Hopkins nei panni dell’agente di borsa anziano, fa una performance di tutto rispetto. Sulla regia probabilmente la nota più critica. Trattandosi della prima produzione per il grande schermo di James Hawes (già dietro alla macchina da presa per alcune puntate delle serie tv Black Mirror e Slow horses), lascia trasparire la sua impostazione “televisiva”, quasi una ricostruzione dei fatti senza nessuna nota stilistica autoriale.

Un ottimo inizio sul grande schermo, in attesa di poter vedere qualche suo tratto personale nelle prossime produzioni.

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