“Nowhere Special”, una storia d’amore e di cura

Il regista Uberto Pasolini porta sullo schermo una storia vera. Immagine del lungometraggio del “Nowhere Special”

Dopo The Specials – fuori dal comune il percorso cinematografico del Vigilianum dal titolo “Mi prendo cura”, prosegue con Nowhere Special che si potrebbe tradurre con “in nessun posto speciale” e racconta la storia di un padre single che vive a Belfast con il suo bambino di 4 anni, lavando vetri. La madre li ha lasciati dopo la nascita del piccolo e lui ora si trova alle prese con un problema grosso, un male incurabile, e uno ancora più grosso: a chi lasciare il figlio e come dirglielo…

Potrebbe sembrare il classico film strappalacrime da guardare in tv quando non si sa cos’altro fare, ma Nowhere Special porta la firma di Uberto Pasolini che, oltre ad essere pronipote di Visconti e cugino in qualche grado di Pier Paolo, ha già mostrato un’abilità tutta sua nel ribaltare la rappresentazione di questioni sociali drammatiche e nel trattare con rara delicatezza temi che riguardano il cuore, facendo parlare i silenzi. Sua è la produzione del film Full Monty (1997) che lo ha portato al successo internazionale. E sua è la regia di Still Life (2012) che con Nowhere Special ha in comune, oltre alla sensibilità maschile, la marginalità sociale dei protagonisti e la zona di confine tra la vita e la morte che essi abitano.

Come in Still Life, anche qui la morte costituisce il dato oggettivo tragico e ineludibile del racconto ma il suo cuore pulsante è la vita e la cura degli esseri umani. Quella di John e Michael è una vita anonima che non ha niente che meriti di essere ricordato – è lo stesso John a pensarlo di fronte all’idea di una scatola dei ricordi per il figlio – ma la relazione che li lega è qualcosa di speciale. Il modo in cui John vive la paternità è assolutamente nuovo. Il suo accudimento e la sua vicinanza emotiva al figlio sono di tipo materno, e sono vissuti senza la paura profonda che l’uomo comunemente prova nei confronti di proprie qualità femminili. Nuovo è anche il coraggio della fragilità che John dimostra nell’accettare e affrontare la propria situazione senza venire meno al ruolo di protezione propria del genitore.

Fuori campo va in scena il disagio della ferita tra uomo e donna dentro la famiglia che porta alla frattura tragica ormai sotto gli occhi di tutti, ma può condurre anche al superamento di un’identità che si definisce per contrapposizione e separazione dall’altro da sé, per andare verso un modello che integra dentro di sé la diversità e per questo è capace di relazione autentica.
Il film meriterebbe anche solo per questo, ma il modo in cui James Norton e il piccolo Daniel Lamont vivono sullo schermo questa vicinanza emotiva ed affettiva, lascia senza fiato. In aggiunta la storia è vera, Uberto Pasolini l’ha trovata su di un giornale. Imperdibile.

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