Piccola annotazione, tipo quelle che normalmente si mettono a fine articolo ma che, stavolta, vale la pena mettere all’inizio. Perché riesce a spiegare tante cose.
Domenica scorsa, a partire dalla tarda mattinata (e per tutto il giorno), le pagine online dei principali quotidiani italiani (così ricche di notizie: tante, importanti o semplicemente curiose) non dedicavano neanche un trafiletto, nemmeno una semplice foto con didascalia, alla chiusura della Settimana Sociale dei Cattolici a Trieste. Neanche una parola (tranne Avvenire, questo è ovvio) al forte richiamo di papa Francesco a rinnovare la politica.
Tra l’apertura dedicata alle elezioni in Francia e alla visita di Orban a Mosca, prima dell’ampio spazio riservato della promessa di matrimonio tra due poliziotte (con tanto di video del picchetto d’onore) e dell’attesa per la partita di Sinner a Wembley, sulle homepage figurava, però, la notizia del ricovero in ospedale del cardinale Ruini, colpito da infarto a 93 anni.
Impaginazioni e scelte editoriali che spiegano con chiarezza come per i grandi giornali “laici” italiani conti più la “Chiesa potere” del passato che la “Chiesa partecipata” di oggi.
Nei giorni in cui Francia (con l’onda possente dell’estrema destra al primo turno), Inghilterra (con la sonora sconfitta dei conservatori, artefici della Brexit con tutto ciò che ha comportato) e Stati Uniti (con il dibattito sul ruolo e sulla candidatura di Biden per il confronto con Trump) hanno dimostrato le opportunità, ma anche i limiti e i pericoli delle democrazie, i cattolici italiani si sono ritrovati a Trieste per ragionare, per l’appunto, sui valori della democrazia. Un tema – “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro.” – che solo qualche anno fa non avrebbe avuto un’importanza pari a quella di oggi. A dimostrazione di quanto, questi primi decenni del Terzo Millennio, hanno accentuato la preoccupazione per il futuro della democrazia che, per usare le parole di papa Francesco, “non gode di buona salute” e che deve fare i conti con un morbo pericoloso, quello dello “scetticismo democratico”. “La democrazia non è mai conquistata per sempre”, aveva specificato a sua volta Sergio Mattarella.
Come già in altre occasioni, si coglie una linea comune negli interventi di papa Francesco e in quelli del Capo dello Stato. C’è il continuo richiamo alla comunità come insieme di persone e di valori; c’è il costante richiamo a non lasciare indietro nessuno, la denuncia della “cultura dello scarto”; c’è la comune consapevolezza che la politica è essenzialmente partecipazione ed inclusione, non certo mettere al margine o escludere; c’è il timore delle derive populiste e la denuncia dello strapotere del paradigma tecnocratico. Richiami “alti”, ma al tempo stesso semplici e diretti. Come l’invito alle democrazie di farsi carico delle complessità e non limitarsi alle polemiche di giornata, alle banalizzazioni e alle semplificazioni imposte dai “new media”, a cominciare dai socialnetwork.
E la risposta alla crisi della politica, secondo Francesco, la si può trovare nella capacità di “essere insieme”: nel sapersi confrontare liberamente e laicamente “nell’arte del bene comune, che non è altro che un diverso nome di ciò che chiamiamo politica”. Un riferimento, quello dello stare insieme, che richiama la celebre definizione di don Milani, prete scomodo e oggi riferimento per il Pontefice e per il Presidente della Repubblica.
La stessa scelta di Trieste come sede della Settimana Sociale non è casuale ed è fortemente politica: città di confine, crocevia tra est e ovest, tra mondi diversi e spesso contrapposti; città con una storia che viene dalla Mitteleuropa, che ha visto il forno crematorio della Risiera di San Saba e le foibe di Basovizza, che ha vissuto l’esodo istriano e la Cortina di ferro.
Oggi, Trieste è ponte con i Balcani, solo trent’anni fa incendiati dalla guerra, dall’odio tra le popolazioni, le etnie, le religioni. Città che la nuova Europa ha posto al centro dei nuovi flussi, non solo commerciali e delle idee, ma anche delle persone.
Quelle che a Trieste cercano una porta per entrare. Trieste, oggi, “città della riconciliazione” perché – come ha ricordato il vescovo Trevisi – la memoria non va solo coltivata, “ma anche bonificata, purificata, perché è come la terra: se è inquinata dà frutti avvelenati”.
Quella memoria che ciascuno tira dalla propria parte, che usa contro gli altri. Perché siamo sempre più nel tempo delle tifoserie, non della ricerca di condivisione. Da qui l’invito di Francesco a passare “dal parteggiare al partecipare, dal fare il tifo al dialogare”. Concetti, evidentemente, talmente rivoluzionari da non poter trovare spazio sui grandi quotidiani online.
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