Cos'è successo alla Pixar? I geni dell'animazione, padri di capolavori come Up, Wall-E, Brave, non conoscono più la differenza tra metafora e allegoria? Tra mito e illustrazione para-didattica? Sentimento ed emozione?
Presentato in anteprima a maggio, al festival di Cannes come evento fuori concorso, Inside Out era annunciato per settembre con trailer italiano fin da giugno. Da una settimana è nelle nostre sale: a Trento è programmato al Modena (in 3D) e al Vittoria, a Rovereto è al Supercinema, nel fine settimana sarà a Borgo, Castel Tesino, Tesero, Folgaria, Piné, in quello successivo a Dro. Una distribuzione capillare, segno dell’attesa per il nuovo film di Pete Docter (Monsters & co., Up, Wall-E).
A differenza della Disney, alla quale peraltro appartiene dal 2006, la Pixar racconta storie originali e moderne, evitando gli stereotipi che la sorella maggiore persegue e rafforza da sempre attraverso la rielaborazione delle fiabe della tradizione occidentale. Ciò che distingue in particolare i due Studi di animazione è l'attenzione al dato psicologico e la capacità di stratificazione semantica che caratterizza i migliori lavori della creatura di John Lasseter, facendone una comunicazione in grado di attirare sia il pubblico infantile che quello adulto. La Disney, invece, predilige da sempre una linea narrativa e sentimentale che delimita il target alle fasce di pubblico più giovani.
Inside Out, fin dal titolo (letteralmente Dentro e fuori), prometteva di percorrere la strada maestra dello Studio, ma il racconto di formazione che muove dallo sradicamento dell’undicenne Riley dal nativo Minnesota per San Francisco-California a causa del lavoro del padre, non si stacca dall’idea iniziale e si limita a personificare le emozioni-base che agitano l’interiore della ragazzina nell’ambiente estraneo (gioia, tristezza, paura, rabbia e disgusto) additando i rischi di anestetizzazione che l’eclissi di gioia e tristezza operano nella psiche della preadolescente.
Tutto vero, ma solo dichiarato e illustrato nel modo semplificato, saltellante e zuccheroso che inorridiva l’autrice di Mary Poppins in Saving Mr. Banks e le faceva puntare i piedi contro la traduzione cinematografica dei suoi libri ad opera di Walt Disney. Peccato, perché l’idea era buona e, a guardare foto e biografia di Pete Docter, sembrava avere un retroterra autobiografico che permetteva di sostanziare tematicamente la linea narrativa. Poteva essere, insomma, la risposta dello Studio Pixar a La città incantata dello Studio Ghibli, mentre resta un piacevole prodotto per famiglie. D’altronde il corto, Lava, che precede il film annuncia già l’enfasi sentimentale tipica della produzione Disney. Forse si tratta semplicemente di uno spostamento sull’asse più commerciale dello Studio, nel solco di film come Toys, Cars & co., oppure è iniziata l’omologazione dello studio più giovane da parte del maggiore nonché proprietario. Il prossimo lavoro lo dirà.
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