Maternal con l’accento sulla a finale o sulla e, a seconda che lo si legga in spagnolo o in inglese, è ambientato e girato a Buenos Aires in un hogar, un centro di accoglienza per ragazze madri gestito da suore italiane, e Hogar è il titolo originale di questo film scritto e diretto da una regista nata a Bolzano nel 1975, Maura Delpero, che con questo lavoro, nel 2019, ha esordito nel lungometraggio di finzione dopo un’esperienza di circa 15 anni nel campo documentaristico.
Anche Maternal, peraltro, si colloca sul confine incerto tra realtà e finzione, con un cast misto di attori professionisti e non, per raccontare una storia che non è vera ma potrebbe esserlo. Dalla vita reale è arrivato alla regista l’interesse per il tema della maternità adolescente, quando una sua allieva diciassettenne è rimasta incinta, e in un hogar della capitale argentina retto da suore italiane, Maura Delpero è entrata per documentarsi più da vicino sulla problematica. Lì è stata colpita da un altro aspetto della maternità contrapposto alla prima, la rinuncia alla maternità biologica delle suore che non le esime dal sentimento e dal desiderio profondo della maternità. Due situazioni estreme e due punti di vista a confronto, su di una comune istanza complessa e incandescente. Su questo è costruito il racconto che raccoglie le storie di Lu e Fati, madri adolescenti di bambini tra i 4 e i 5 anni, e quella di suor Paola appena giunta dall’Italia per pronunciare i voti perpetui, che dovrà prima fare i conti con la convinzione che “chi ha Dio nulla le manca”…
Il cinema italiano aveva già affrontato il tema con grande sensibilità alla fine degli anni Novanta, nel film Fuori dal mondo di Giuseppe Piccioni, dove Margherita Buy interpretava una giovane suora milanese che entrava in crisi sulla soglia dei voti perpetui in seguito al ritrovamento di un neonato abbandonato. In quel caso il punto di vista privilegiato era quello della religiosa chiamata a compiere una scelta più consapevole rispetto a quella che stava per fare, e a rivedere i propri pregiudizi sulla mamma abbandonante. In Maternal le due realtà opposte si fronteggiano da subito ed evolvono insieme. È subito evidente l’impreparazione delle ragazze ad accettare il carico emotivo e la responsabilità vincolante di giovani vite non volute, a volte frutto di abusi familiari, ma è anche evidente che il luogo che le accoglie e vorrebbe offrire loro un ambiente familiare, è un ripiego, anch’esso subìto dalle ragazze nell’abbandono in cui si trovano e nell’impossibilità di sostentarsi autonomamente. La messa in scena degli spazi è estremamente efficace nel sottolineare il contrasto tra gli ambienti religiosi e i giocattoli dei bambini che occupano i corridoi, così come la dimensione comunitaria e l’istanza d’intimità delle mamme ospitate. In modo analogo la regia lavora sul contrasto tra la vitalità prorompente e sensuale delle ragazze pronta ad esplodere in liti e ribellioni, e la compostezza immobile e addormentata dell’ambiente claustrale che le accoglie. Ma parallelamente emerge anche la necessità di suor Paola di guardare più a fondo dentro di sé e di valutare se i confini che si è imposta rispondono a ciò che è e vuole veramente.
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