Is 66,10-14c
Salmo 65 (66)
Gal 6,14-18
Lc 10,1-12.17-20
Sono convinto che nel nostro tempo c’è bisogno prima di tutto di credenti determinati e coraggiosi che sappiano testimoniare che il Regno di Dio è in mezzo a noi? Le nostre comunità sono consapevoli che non si può incontrare Dio se non si incontra anche l’uomo?
Accanto ai dodici apostoli Gesù designa altri settantadue discepoli e li invia a due a due. Il numero 72 indica i popoli allora conosciuti e sta a significare che Gesù non si limita a ricostruire il popolo di Israele, ma è soprattutto interessato a creare un mondo nuovo dove tutti i popoli possano contribuire a svelare qualcosa del Regno di Dio. Li manda a due a due. E in questo andare a due a due c’è già il primo annuncio: ciò che importa è prima di ogni altra cosa la comunione, è sconfiggere la solitudine. Questa è la prima vittoria sul nemico, il Divisore, la cui opera è separare, seminare isolamento nella famiglia, nella comunità, sul luogo del lavoro, nella Chiesa, sulla terra.
Li manda perché «la messe è molta, ma sono pochi gli operai» (Lc 10,2). Si noti che Gesù non parla di lavoro da svolgere, ma del raccolto, della gente che porta in sé molte attese, del mondo dove ardono molte speranze. E poi fa notare la carenza degli operai, vale a dire di uomini e donne capaci di interpretare i segni del tempo, leggere le nuove domande. Mancavano quindi persone capaci di annunciare la vicinanza di Dio in situazioni problematiche.
Posiamo ora lo sguardo sul nostro mondo. Potremmo leggere ciò che viviamo in due modi differenti: lamentarci perché la fede sta morendo, dilaga la ricerca egoistica del proprio interesse e viene meno ogni tensione al trascendente. E perché ci accorgiamo che i che anche il desiderio di una fede diversa, più interessata ai valori della solidarietà e della giustizia e meno confinata nei riti e nei doveri religiosi fatica a trovare il suo spazio; è tuttavia un fuoco che non si spegne. Infatti dappertutto nel mondo si fa sempre più forte la sensazione che «credere è riconoscere che la creazione non è terminata e l’uomo ne è responsabile» (Garaudy). Nasce così il movimento di Greta Thunberg, nel quale non è assente quel Dio che chiama l’uomo a essere custode e coltivatore del mondo (cfr. Gen 2,15). E ancora possiamo notare come per molte persone la fede non è «andare a Dio senza gli uomini e senza il mondo» per cui molti credenti riscoprono il valore della liturgia, dei riti e dei sacramenti «purché portino alla vita e non fuori della vita» (B. Borsato).
Anche oggi Gesù invita a non attardarsi, a non fermarsi, a inseguire l’obiettivo senza perdere tempo, ad andare con determinazione fino in fondo. È questo il significato della raccomandazione di Gesù: «Non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada» (Lc 10,4). Egli ci dona anche un’altra sottolineatura importante: «Non portate né borsa, né sacco, né sandali». Ciò che dovrebbe caratterizzare la vita dei discepoli è la povertà, la consapevolezza che l’incisività del Vangelo non sta nell’organizzazione, nei mass-media, nel denaro, nel numero, ma nella Parola che li fa partire. «L’unica preoccupazione dell’annunciatore è di essere infinitamente piccolo. Solo così il suo annuncio sarà infinitamente grande» (G. Vannucci). Il viaggio dei discepoli nell’annunciare il Regno di Dio è un viaggio verso l’uomo, verso l’interiorità dell’uomo, che viene prima delle ricchezze e dei ruoli. Ogni credente, ogni battezzato sa di essere mandato, di essere operaio per la messe del Signore. Non dovremmo dunque pregare solo perché ci siano più sacerdoti (tutti siamo sacerdoti grazie al battesimo!), ma perché ci siano profeti capaci di andare «come agnelli in mezzo ai lupi» (Lc 10,3) per «guarire i malati» che incontrano (Lc 10,8) e costruire in ogni casa la pace (cfr. Lc 10,5).
Lascia una recensione