Ma le religioni servono ancora?

In questo mondo sempre più stretto, mi sto chiedendo se servano ancora le religioni. Il pericolo che, come spesso nella storia, siano veicolo o pretesto per violenze, guerre, puntello del potere costituito mi sembra oggi più che mai reale.

Il “sacro”, inteso come luogo o spazio o tempo “separato”, contrapposto agli spazi "mondani": non serve piuttosto cercare unità e unificazione? Non ha forse questo significato il “Dio che si fa Uomo”, il “chi ha fatto questo ad uno di questi piccoli lo ha fatto a me…”?

Non sarebbe meglio fidarci della propria e altrui umanità, cercare nel quotidiano lo stupore e la meraviglia della natura, perdendoci di fronte all'immensità del cosmo e dell'infinitamente piccolo? Assumerci in pieno la responsabilità umana della ragione per diventare maggiorenni, per andare sempre “oltre”; andando alla ricerca della spiritualità fondamentale che appartiene a tutti gli uomini e le donne ancora prima che alle rivelazioni religiose? Far spazio poi forse anche a una “religione senza religione”?

Mauro Avi

Penso che, proprio oggi, proprio in questa epoca segnata dall’incontro tra culture e religioni diverse (e purtroppo anche dallo scontro tra di esse), la tua domanda sia fondamentale. Prima di tutto però che occorre intenderci sui termini della questione.

Il concetto di “religione” è ampio e sfuggente, quasi impossibile da definire una volta per tutte. Ma se ci riferiamo all’accezione comune, ci rendiamo conto della pluralità del fenomeno: ci sono religioni prive di rivelazioni, addirittura lontane da un’idea di Dio; ci sono religioni cosmiche, politeistiche, basate su elementi naturali. Mi accorgo però che ciascuna di queste parole andrebbe approfondita.

Certamente la religione prevede un qualche tipo di rapporto con il “sacro”. Questo sacro è inteso non solo, come dici giustamente tu, quale spazio separato, inquietante (e quindi gestito molto spesso dalla casta sacerdotale) e pericoloso, ma pure quale realtà profonda dell’universo, respiro cosmico, centro invisibile dell’essere. Sentiamo il sacro come qualcosa in cui siamo immersi e nello stesso tempo di superiore a noi; vogliamo riempirci del sacro e ugualmente percepiamo di non poterne essere completamente parte. Nella storia questa relazione con l’alterità, l’ulteriorità assoluta, generalmente non si è concretizzata a livello individuale, ma collettivo, etnico, sociale: di qui scaturisce l’importanza della religione per il processo storico. La religione dunque è sempre portatrice di valori e di modi di comportarsi nel quotidiano, influenzando gli stili di vita e i rapporti umani.

Nella Bibbia, come scriveva il filosofo ebreo Levinas, assistiamo al passaggio dal sacro (inteso come separato) al santo, cioè a una visione religiosa basata sull’etica, sull’uomo, creato a immagine e somiglianza di un Dio, artefice di tutto, che si relaziona con gli esseri viventi, che cerca la giustizia, che si allea con un popolo, che propone una via di liberazione. La natura, un tempo divinizzata, diventa sorella e compagna dell’uomo, in nome dell’unico Dio creatore. I profeti biblici accentuano questa visione: Dio non vuole sacrifici, ritualità, formalismo, paura; ama il diritto e la giustizia, ama le persone che soccorrono i miseri, che hanno una fede sincera, semplice e concreta.

Gesù si colloca in questa prospettiva, accentuandola e portandola alle estreme conseguenze. Gesù ci parla di un Dio vicinissimo, umile, che cerca l’uomo (e ovviamente la donna), che preannuncia un culto spirituale. Intendiamoci però: il culmine del rapporto spirituale, interiore, silenzioso con Dio si esplica in un rapporto rinnovato e pacificato con gli altri uomini. Il giudizio di Dio non si basa sulla vicinanza o meno alla sfera del sacro, ma alla concretissima (ma quanto difficile!) cura dell’uomo debole e sofferente.

La teologia cristiana, approfondendo il mistero di Gesù, compie un passo ulteriore, del tutto coerente con il messaggio evangelico: Dio in Cristo si è fatto uomo. È lo stravolgimento dell’idea di sacro. Dio è l’uomo. Certo l’Uomo per eccellenza, la primizia, il Figlio: attraverso di lui però ogni uomo può divinizzarsi. All’opposto ogni lesione della dignità umana diventa profanazione di Dio. Oggi possiamo dire anche che ogni distruzione dell’ambiente esterno diventa un’offesa a Dio. Di qui la nostra grande responsabilità di essere uomini. Forse la missione del cristianesimo è proprio questa: testimoniare l’umanità di Dio. E di questo credo ci sia davvero molto bisogno.

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