I lettura: Isaia 50,5-9a;
II lettura: Giacomo 2,14-18;
Vangelo: Marco 8,27-35
“Tu sei il Cristo!” dice Pietro a Gesù nel vangelo di questa domenica. È la risposta più azzeccata che un uomo sia mai riuscito a dare a quella domanda che molti si ponevano: “Chi sarà mai costui?”. Ora la pone Gesù stesso, ai suoi: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Il nome “Cristo”, sulle labbra di Pietro (e di qualsiasi ebreo di quel tempo), significava “Messia”. Erano secoli che si continuava a vagheggiarne la figura, e più passava il tempo, più quelle attese diventavano appassionate, rischiando però anche di ridursi nella loro portata, al punto che nell’immaginario popolare il Messia – qualora fosse arrivato – avrebbe dovuto adattarsi più alle reali attese del popolo che ai progetti di quel Dio che l’aveva mandato. Eliminare i prepotenti (a cominciare dai Romani che occupavano la Palestina), liberare il popolo da tasse e gravami d’ogni genere, instaurare la giustizia, avviare un’epoca paradisiaca di benessere per tutti: ecco cosa avrebbe dovuto fare il Messia. E il filo rosso che accomunava tutte queste imprese doveva essere il successo, la riuscita, la vittoria su tutti i fronti.
Ma ecco che qui, invece, si apre una prospettiva che è in totale contraddizione con questa logica:
“Gesù ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno”. Questo fa già sospettare che probabilmente ci sarà molto da correggere in quelle attese che tutti condividevano. Infatti, ecco la novità: “Cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e dopo tre giorni risorgere”.
Al che, Pietro deve aver reagito più o meno così: “No, Signore! Al Messia si addice una strada lastricata di trionfi e di successi, non di rifiuto, di sofferenza e di morte! Pensaci bene, per favore, prima di dire certe cose!”. Gesù gli avrebbe risposto trattandolo nientemeno che da “Satana”: Satana è il tentatore che vorrebbe distogliere dalla sua strada perfino Gesù Cristo.
“E non crediate – aggiunse – che la cosa riguardi soltanto me. Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua…”. Pensavano i dodici che, al seguito di quel Messia, anche a loro il futuro avrebbe riservato gloria e successo; e invece no, sarà tutto l’opposto: cos’altro può significare rinnegare se stessi se non questo?
Quanto a quella croce che ogni discepolo dovrebbe prender su e portare, due particolari occorre notare (e tutt’altro che trascurabili). Primo: quella croce non è solo da accettare supinamente quando ci piomba addosso, ma è da prendere spontaneamente. L’altro particolare ce lo presenta Luca, nel cui vangelo Gesù afferma che la croce – quale che sia – è da prender su non una volta ogni tanto, ma ogni giorno! Qualcuno penserà: “Ma sì, da quando in qua uno va a prendersi una croce ogni giorno?!”. Eppure sì, proprio nella vita di ogni giorno ci sono cose che non ci piacciono granchè eppure ce le prendiamo su ogni mattina… Il lavoro, ad esempio, che non è fatto solo di fatica, ma a volte anche di contrasti, di arrabbiature, di nervosismi: lo cominciate sempre con entusiasmo voi? Può essere anche questo la croce di cui parla Gesù? Sì, a condizione che lo si riprenda ogni giorno con un briciolo di Fede e lo si offra a Dio ancor prima di cominciarlo: allora è croce, altrimenti è solo bagaglio che schiaccia. E nella vita di famiglia, forse che va tutto liscio come l’olio ogni giorno? Preoccupazioni per l’uno o per l’altro, a volte anche incomprensioni, difficoltà a capirsi, per non dire di qualche batosta che capita senza nessun preavviso… Ma forse che per questo si deve mandare all’aria la famiglia? Forse che non ci si riprende su la propria responsabilità (di marito o di moglie, di padre o di madre) ogni mattina? E perché non chiamare croce anche questo? Sì, a condizione di ricominciare ogni giorno con un briciolo di fede e offrire tutto a Dio… Allora diventa “la croce”, anzi, la nostra croce. Oltretutto se ne ha pure un vantaggio considerevole: è come spartire un peso; anziché trovarsi da soli a portarlo, si scopre che c’è anche il Signore che lo porta con noi. Ed è più leggero quel peso, se è portato in due.
E poi ancora: perdonare a una persona che ci ha offeso è sempre una fatica. Accettare questa fatica è portare la croce.
Fare del bene a qualcuno, e farlo con costanza, a volte snerva nel vero senso della parola: ebbene, non lasciamoci inacidire dal nervosismo, spartiamo con Dio quel peso: offriamolo a lui. E chiamiamolo “croce”.
Sì, mostrarsi cristiani in certe grandi occasioni potrà anche essere facile. Esserlo davvero nella quotidianità realissima della vita di famiglia, nel lavoro, nelle situazioni tipicamente nostre, ed esserlo in umiltà ma con decisione nello stesso tempo: ecco la nostra croce.
E tutto ciò equivale a donare se stessi ogni giorno, goccia a goccia, ma è anche la strada della vita vera, pienamente realizzata. Ce lo assicura Gesù (che è sempre di parola): “Chi perderà la sua vita per causa mia, la salverà”. E, credetelo: questo è un campo nel quale lui ha una notevole esperienza. Gli possiamo dare fiducia.
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