I cittadini della comunità globale del XXI secolo devono per forza correre in continuazione, senza posa o ristoro
In questi ultimi anni si sono moltiplicati i libri che riflettono sui cambiamenti del nostro rapporto con il tempo. “Globalizzazione”, “connessione”, “comunicazione” sono termini entrati nel gergo quotidiano come gli ambiti in cui è immersa la vita. Gli intrecci tra queste tre parole segnano l’epoca contemporanea. Bisogna assolutamente comunicare quello che si fa, pena l’assoluta irrilevanza anzi proprio la non esistenza. Per comunicare è necessario “essere connessi” 24 ore al giorno, senza pausa e senza limite perché l’orizzonte è diventato globale. Così lo spazio e il tempo sono lentamente evaporati, mentre la velocità in cui si susseguono gli eventi è notevolmente aumentata.
“Accelerazione e alienazione”, questo il titolo di un recente volume del sociologo tedesco Hartmut Rosa. La mancanza di tempo è la malattia dell’era della comunicazione globalizzata. I mezzi tecnologici consentono di compiere, anche contemporaneamente, molte attività che, in positivo, possono concretizzare le capacità di ciascuno, ma che, in negativo, generano una inarrestabile corsa per non perdere posizione. I cittadini della comunità globale del XXI secolo devono per forza correre in continuazione, “senza posa o ristoro”, per produrre, per essere al passo con i tempi, per non essere “tagliati fuori” dal lavoro o semplicemente dalle relazioni umane. Le persone anziane forse non sono ancora travolte da questa frenesia, ma ormai “lo spirito del secolo” lambisce anche loro, modificando i ritmi di vita. I giovani invece sono totalmente immersi in questo sistema “totalitario”, come lo chiama Rosa, basato sulla corsa, la competizione e appunto la velocità.
Poi arrivano le vacanze, l’oasi nel deserto dell’accelerazione esistenziale, il punto di ristoro di una maratona a cui siamo condannati. Diventa però illusorio pensare che, in vacanza, si possa cambiare completamente le proprie abitudini consolidate in 50 settimane durante l’anno. Anche la vacanza è stata contagiata di ritmi forsennati. Per questo accade sempre più spesso che le stesse ferie siano scandite da moltissimi impegni sia pure non lavorativi. Se invece riusciamo a ritagliare un tempo veramente “libero”, ecco che questo stesso vuoto ci fa paura, perché non sappiamo riempirlo se non di altre corse. Alla fine c’è sempre l’idea di “perdere tempo”. Corriamo corriamo inseguendo il sole, ma esso sta già tramontando.
L’ansia aumenta poiché, quando si riflette sul tempo (e lo possiamo fare soltanto nei momenti di pausa), si giunge sempre e inevitabilmente di fronte a un grande dilemma, quello che ci stare sospesi tra la morte e l’infinito, tra l’eternità e il nostro destino caduco. In conclusione, quale è il senso ultimo? Quale la strada che, arrivati alla fine, dovremo o potremo percorrere ancora? Oppure il tempo stesso è un’illusione, come a volte ci sembra essere la vita?
Lo ha colto benissimo Giacomo Leopardi nella poesia L’Infinito: il pensiero del poeta, che oltrepassa il limite rappresentato simbolicamente dalla siepe, coglie gli infiniti spazi, le morte stagioni, la vita presente, l’incommensurabilità e la sovraumanità dei silenzi dell’universo se paragonati alla misera voce umana. Così la mente fa un salto, non importa se immaginario, e partecipa, almeno per qualche istante, alla dimensione dell’eterno. Si tratta di un immergersi, di un naufragare nel mistero.
I credenti misurano la loro fede nel modo in cui si rapportano con il tempo: davvero si crede, con certezza e fiducia, che ogni tempo è nelle mani di Dio, ogni stagione, ogni nuova estate, non importa se questa sia magari l’ultima o sia che ne avremo in dono molte altre?
Sarebbe ulteriormente illusorio pensare che le vacanze aiutino a recuperare quella dimensione spirituale magari negletta per il resto dell’anno e rimandata “quando avrò tempo”. La “pastorale della vacanza” (da non confondere con quella della sede papale) è senza dubbio un esercizio utile, “al passo con i tempi”, ma forse un po’ malinconico: l’anima non può rigenerarsi in due settimane di ferie, neppure se esse vengono trascorse in qualche antico monastero. In questo caso l’offerta estiva non manca, ma è triste constatare che molti luoghi di preghiera, conventi, strutture ecclesiali ormai vuote e silenziose per tutto l’anno, cerchino di rivivere durante le vacanze. Anche la “fede turistica” segna la nostra epoca.
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