I lettura: Atti 10,34.37-43;
II lettura: Colossesi 3,1-4;
Vangelo: Giovanni 20,1-9
“Sì, ne siamo certi, Cristo è davvero risorto”: sono le parole che la Liturgia, tutta intrisa di poesia, pone sulle nostre labbra di credenti a Pasqua. I cristiani d’oriente ne hanno fatto addirittura il loro tradizionale saluto: “Cristo è risorto – È davvero risorto!”. Ma è anche ragionevole domandarsi: ci crediamo davvero? Non dobbiamo avere troppa fretta a rispondere. Da che mondo è mondo, normale è morire, non risorgere. Non si è mai sentito dire che qualcuno, che era morto, sia risorto.
Noi lo affermiamo di Gesù Cristo, e non perché ci piacerebbe che fosse davvero così, ma perché quei tali che l’hanno conosciuto direttamente, ce l’hanno testimoniato e trasmesso come una certezza indiscutibile. Sì, ma anch’essi hanno fatto fatica ad arrivare a questa conclusione. I vangeli sono quattro: tutti e quattro attestano che gli apostoli di fronte a quel sepolcro vuoto, e a quel Gesù che avevano visto morire ma che poi appariva e scompariva quando meno se l’aspettavano, fecero fatica a credere che era risorto; hanno provato disorientamento, perplessità, dubbi… Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio… ed ebbe il primo segnale che qualcosa di molto strano era accaduto: la pietra era stata ribaltata via dall’ingresso e dentro il cadavere di Gesù non c’era più. Ma tutto questo di buon mattino, quand’era ancora buio appunto. Non abbiamo anche noi a volte l’impressione che – nonostante la Fede che pure abbiamo nel cuore – attorno a noi sia ancora buio, tanto buio? Soprattutto in certe situazioni (della nostra vita personale, o delle nostre famiglie, o di fronte a certe vicende che accadono nel mondo di oggi), abbiamo la netta sensazione che l’oscurità sia più forte di quella piccola fiamma che ci è stata consegnata il giorno del Battesimo e che chiamiamo “fede”. Perfino Pietro, il primo degli apostoli, ha fatto fatica a credere: corre al sepolcro, vede il sudario e le bende nei quali era stato avvolto Gesù morto, ma Gesù non c’è, e Pietro non comprende più nulla a quel punto… Non parliamo poi di Tommaso! Eh sì, la Fede nella Pasqua comporta fatica, c’è un lavorìo tormentoso per arrivare a questo traguardo, e richiede tempo. Ma … com’è che ci si arriva?
Erano in due quella mattina ad andare al sepolcro; uno era Pietro, l’altro non sappiamo esattamente chi fosse perché è presentato con queste parole: “il discepolo che Gesù amava” (oh, non che gli altri fossero esclusi dal suo amore: è solo espressione sobria – e anonima – per dire che voleva molto bene a Gesù). Costui arrivò per primo al sepolcro; Pietro arrivò dopo. Tutti e due videro il sudario e le bende piegati in un angolo e constatarono che il cadavere non c’era più; ma il discepolo che Gesù amava, a differenza di Pietro, non solo vide, ma credette: che cosa? Che Gesù era risorto, che era vivo.
È festeggiata da tanti la Pasqua, anzi, se si prescinde dagli appartenenti ad altre religioni, si può dire che tutti gli italiani festeggiano la Pasqua, anche i miscredenti, anche gli atei; sì, ma quanti sono convinti che Gesù Cristo è risorto? Quanti sono “contenti come una Pasqua” per il fatto che Gesù Cristo è vivo? Del resto, se Pasqua non è questo, si riduce a qualche forma d’evasione, ma dopo ogni evasione… tutto torna come prima.
Per poter dire con convinzione “Sì, è davvero risorto!” occorre avere un buon rapporto con Gesù Cristo: una relazione di profonda amicizia, com’era per quel discepolo che “Gesù amava”. Tra noi e Gesù il legame è forte, appassionato, se è a corda doppia: fede e amore insieme. Se invece è debole, è inevitabile mettere in dubbio tutto: la risurrezione, la vita oltre la morte, la vittoria del bene sul male, l’esistenza stessa di Dio. Perché queste sono cose dell’altro mondo, e per poterle condividere in questo mondo, occorre una sensibilità particolare che è fatta di fede e di amore insieme. Gesù Cristo non basta credere che sia esistito, occorre amarlo. Pasqua non è anzitutto la vittoria della vita sulla morte, ma dell’amore sulla morte e, oltre che sulla morte, sul dubbio, sull’incredulità, sul non senso e su ogni possibile disperazione. Questo amore è la carica che apre a vere novità di vita. Tutti sanno, infatti, che un’adesione appassionata a Gesù Cristo va di pari passo con la disponibilità a “donare” la vita (che poi è l’unico modo intelligente per goderla davvero…). All’opposto, una fede povera d’amore va a braccetto col dubbio, non solo, ma con l’egoismo, con l’accartocciarsi su se stessi, e favorisce uno stato perenne d’insicurezza e di insoddisfazione. Ma poi… che c’entra con noi, con il nostro mondo, il fatto che Gesù Cristo sia risorto oppure no? Se è vero che è risorto, allora non saranno cattiverie ed egoismi ad avere l’ultima parola sulle vicende umane. Perdono e misericordia, allora, potranno sanare anche situazioni croniche dichiaratamente inguaribili. Se è vero che è risorto, questo mondo potrà diventare davvero una dimora “umana” in cui sono di casa giustizia e fraternità, anzichè ridursi a giungla dove i lupi sbranano gli agnelli. Se Cristo è risorto… No, non è affatto una questione di poco conto crederlo o non crederlo. E allora, che cosa intendere – dicendo Buona Pasqua – se non che il nostro legame con Lui sia davvero “a corda doppia”?
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