La vita di Massimo, giornalista quarantenne tormentato da un male di vivere che lo frena specialmente nei rapporti affettivi, è dominata da una domanda che è rimasta sospesa fin dalla scomparsa improvvisa della mamma, quando lui aveva solo nove anni. L'incontro con Elisa e la morte del padre, che lo costringe a tornare nella casa della sua infanzia per mettere ordine nei ricordi, lo porterà finalmente a svelare una risposta che non basta conoscere. Perché per andare oltre il dolore, occorre accettarlo, e perdonare per tornare ad amare.
Marco Bellocchio dirige Fai bei sogni, liberamente tratto dall'omonimo bestseller autobiografico di Massimo Gramellini, muovendosi sulla falsariga del romanzo e raccontando la storia di un uomo alla ricerca del suo posto nel mondo, con continui rimandi tra passato e presente, tra infanzia, adolescenza e maturità.
L'ambientazione rimbalza così dagli anni '90 alla fine degli anni '60, splendidamente rappresentati non solo da un'accurata ricostruzione dell'arredamento, dell'abbigliamento, degli oggetti di quel tempo, ma anche da frammenti di storia che riaffiorano attraverso le note di una canzone o lo schermo della televisione, che diventa in qualche scena quasi una coprotagonista, alimentando sogni e incubi del piccolo Massimo.
È un racconto dominato dai primi piani, dagli sguardi, da dialoghi asciutti che pescano a piene mani dal romanzo senza però riuscire a ricreare il connubio tra leggerezza e profondità che è la cifra della scrittura di Gramellini.
Massimo cresce, in un rapporto conflittuale con un padre presente ma privo di slanci di affetto, accanto a una tata incapace di dargli il calore di cui ha bisogno, guardando con invidia le mamme degli altri e circondato da adulti che, per proteggerlo, non riescono a trovare le parole giuste per spiegare un dolore che sembra più facile negare. Un silenzio da cui uscirà solo ritrovando dentro di sé quelle parole perdute, e insieme ad esse il coraggio di affrontare la verità e i fantasmi del passato.
La storia coinvolge emotivamente sia lo spettatore che il lettore, ma sul grande schermo prevale la sfumatura più scura di una vicenda umana che diventa simbolica e si carica di temi universali: i rapporti tra padre, madre e figlio, l'amore, l'assenza, il senso di colpa, la verità.
La firma di Bellocchio si fa più evidente negli accenni alla religione, cercata inutilmente come mezzo per riempire un vuoto, o all’ipocrisia di un mondo incapace di credere fino in fondo alla verità. Ma è soprattutto nel finale che il film “tradisce” il libro, o meglio rivela la profonda differenza tra le visioni che i due autori hanno maturato nei confronti della vita.
Rimane nel cuore l'interpretazione del piccolo Nicolò Cabras, naturale nel dare volto all'amore e al dolore innocente di un bambino che lascia spazio crescendo ad un credibile, ma forse troppo tormentato, Valerio Mastandrea.
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