I lettori un po’ attempati ricorderanno com’era abitudine in questa stagione di primavera inoltrata arrampicarsi con spavalderia e – a dirla tutta – anche con un pizzico di timore, su alberi potenti e dalle ampie fronde. Era come entrare in un mondo aereo, fatto di vento, rami, foglie ed eleganti frutticini rossi, dal gusto irresistibile. Alle volte ci sentivamo ladruncoli, alle volte operai, alle volte salivamo in solitaria ma più spesso in compagnia… era il nostro modo di festeggiare l’arrivo della bella stagione e di un ritrovato stare insieme. Mi riferisco al Ciliegio dolce, Prunus Avium – “Ciliegio degli uccelli”. Già… gli antichi avevano capito che le ciliegie appartenevano a loro: agli uccelli. Gli uomini dovevano accontentarsi degli avanzi.
Parliamo dell’albero appartenente alla famiglia delle Rosacee, originario dell’Europa e di alcune zone fredde dell’Asia Minore. Cresce spontaneo fino a 1600 metri di altitudine: non è specie pioniera, necessita dunque per espandersi naturalmente, di un microclima forestale stabile. I frutti del ciliegio selvatico, piccoli ed amarognoli, erano conosciuti e mangiati già dall’uomo preistorico. Il XVI secolo segna l’inizio della coltivazione, con la selezione di innumerevoli varietà locali distinte in due grandi gruppi: ciliegie “Tenerine” e “Duracine”. In Trentino ricordiamo nel secolo scorso le varietà Bella Italia, Moretta, Durone nero e Marosticana. Venivano coltivate in forma libera, con piante che raggiungevano altezze di 20 metri. Ora sono cambiate le varietà, mentre i portinnesti e le potature hanno permesso di ridurre sensibilmente le dimensioni delle piante, rendendole più funzionali alla raccolta.
Ma torniamo ai tempi andati: in Trentino venivano apprezzate altre ciliegie, oggi un po’ in disuso. Mi riferisco al Prunus Cerasus (Ciliegio “aspro” o acido), un albero di mole più ridotta, coltivato fino a 1200 mt di altitudine. Di esso si distinguono la varietà Marasca con frutto rosso vivo, l’Amarena con frutto rosso pallido, e la Visciola o Griotta con frutto porporino scuro e succo sanguigno. I frutti benchè acidi sono gustosi ed un tempo utilizzati per la produzione del Maraschino e del Vino di visciole. Ricordiamo infine il Prunus Cerasifera (Amolo o Mirabolano), alberetto un tempo coltivato in Valle dell’Adige con frutti gialli o rosso cupi, simili alle ciliegie, ma che all’interno ricordano le prugne. La varietà atropurpurea (Prunus Pissardi) è usata come pianta ornamentale per il suo fogliame di color porporino.
Cari ciliegi, di voi utilizziamo il frutto, il nocciolo, il picciolo, il legname, possiamo godere delle spettacolari fioriture primaverili, e non da ultimo possiamo tornare un po’ bambini ed alzare lo sguardo al cielo per cercare… dove appoggiare la scala.
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