La pausa di ferragosto ha mandato per un pò “in vacanza” le notizie provenienti dal mondo e dai suoi vari fronti di guerra. Eppure in questi ultimi giorni la situazione della sicurezza globale è divenuta, se possibile, ancora più precaria e complessa. Intorno a noi nulla è rimasto fermo ed il timore è che nelle prossime ore e giorni il risveglio tornerà ad essere traumatico. Ma, soprattutto, per quanto riguarda i tentativi di pace nulla di nuovo è apparso sotto il cielo. Anzi, apparentemente, la situazione in Europa e in Medio Oriente sembra allontanare sempre di più le prospettive di una pacificazione che sia duratura. Detto questo, la vera sorpresa in queste due ultime settimane è stata l’incursione delle truppe di élite ucraine nella regione di Kurks al di là del confine con la Russia. “L’invasione” è avvenuta con una facilità incredibile. Nessuna vera resistenza dei soldati russi alla frontiera, nessuna preparazione all’interno della regione per organizzare una controffensiva, ma al contrario la fuga di un numero consistente di cittadini verso le aree limitrofe. C’è da chiedersi dove stia la grande potenza militare russa. Due anni e mezzo fa Putin pensò di conquistare Kyiv in qualche giorno e fu costretto a ritirare precipitosamente la propria armata. Un anno dopo dovette subire la sfida del capo della milizia Wagner, il suo “fido” compagno di strada Yevgeny Prigozhin, che nel ribellarsi arrivò a pochi chilometri da Mosca senza trovare alcuna resistenza. Sul piano politico-militare il nuovo Zar è poi riuscito nel capolavoro di rafforzare la Nato con l’adesione di Svezia e Finlandia, completando con ciò il temutissimo accerchiamento di Mosca da parte degli “occidentali”. Ed ora l’inaspettata sfida di Kyiv che avanza come un coltello nel burro all’interno del territorio russo. Qualsiasi altro capo di governo che avesse cumulato una tale serie di errori e di rovesci sarebbe stato cacciato via.
Ma in Russia questa eventualità non è prevista poiché Putin ha rafforzato fino all’estremo limite il carattere dittatoriale del regime e quindi la sua permanenza al potere equivale alla salvaguardia della sua stessa vita, cui il despota non vuole certo rinunciare. Tuttavia, poiché è impensabile credere che Kyiv possa addirittura annettersi una fetta del territorio russo, nasce la speranza che l’azzardo di Volodymir Zelensky serva a portare ad un futuro tavolo negoziale un indebolito e umiliato Putin. Tesi un po’ complicata da sostenere ma non inverosimile. Vale infatti la pena ricordare che all’inizio del conflitto il presidente francese Emmanuel Macron aveva voluto tenere aperti i canali di collegamento con Putin in base alla considerazione che non si doveva “umiliarlo”. Il risultato è stato l’esatto contrario e Putin ha continuano a guidare il gioco a suo piacimento trovando sostegni alternativi in Cina e Nord Corea. Oggi, tuttavia, di fronte a questa eclatante dimostrazione di incapacità militare e di intelligence, lo spostare l’attenzione su una trattativa di pace può essere conveniente anche per il boss del Cremlino. Lo vedremo molto presto poiché portare Putin al tavolo negoziale significa per l’occidente dimostrare ancora una grande unità nel sostegno da offrire all’Ucraina e alle sue “azzardate” mosse. Qualche problema sta già manifestandosi, non solo e non tanto in Italia, dove la nostra tradizionale ambiguità ci porta a nascondere la mano delle armi fornite a Kyiv, giurando che non vengono utilizzate in territorio russo. Ma soprattutto è necessario guardare ad altri paesi ben più rilevanti per il futuro del conflitto dell’Ucraina con la Russia. La Germania ad esempio, con la scusa delle difficoltà economiche e di bilancio (vere), ha deciso di non caricarsi di ulteriori concessioni di denaro a Kyiv, ma di trovare le nuove risorse finanziarie (sulla base dell’accordo verbale nel G7 in Puglia) attraverso l’utilizzo dei consistenti interessi cumulati con il congelamento delle riserve della banca centrale russa depositate in Europa, circa 300 miliardi di Euro. Cosa più facile a dirsi che a farsi anche perché esiste l’accordo politico ma non ancora la procedura per renderlo esecutivo. L’altro partner essenziale, gli Usa, sono di questi tempi poco attenti per l’ovvia ragione che le elezioni presidenziali sono ormai alle porte. Premere per portare Putin al tavolo delle trattative non è fra le attuali priorità della campagna elettorale.
E per di più Putin non ha ancora perso le speranze che Donald Trump ce la possa, malgrado tutto, fare. Flebile speranza, ma tale da allontanare l’eventuale avvio di un processo di pacificazione. Si aggiunga poi che le future difficoltà internazionali di Kamala Harris, come candidata democratica, saranno più legate alla tragica situazione della popolazione a Gaza sostenuta da un’opinione pubblica democratica filo Palestina che dall’evoluzione della guerra fra Russia e Ucraina.
Insomma è davvero complicato comprendere se la tempistica e l’invasione di Kursk siano state ben calcolate da Zelensky e se il futuro della pace ne esca rafforzato o finisca per allontanarsi ancora di più. C’è solo da sperare che il grande azzardo ucraino cambi radicalmente le carte in tavola anche per le ambizioni imperiali dell’inefficiente Zar del Cremlino.
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