La produttività ristagna e reclama risposte

Il rapporto presentato in aprile dal Centro OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) di Trento, ora disponibile anche in italiano, già dal titolo annuncia il proprio messaggio: «Rimettere in carreggiata la crescita della produttività del Trentino». Il rapporto, redatto dagli economisti Carlo Menon e Wessel Vermeulen, sentite le parti sociali e imprenditoriali, con l’assistenza di Chiara Gastaldi e Silvia Delladio, e la supervisione della responsabile del Centro Alessandra Proto, pur inquadrando la nostra provincia fra le più performanti dell’OCSE, ne ha infatti diagnosticato una produttività stagnante negli ultimi due decenni. È un segnale d’allarme, tutt’altro che trascurabile, per l’efficienza della nostra economia. Efficienza che – va chiarito – andrebbe rapportata all’insieme degli input produttivi (lavoro, capitale, conoscenza, tecnologia, risorse naturali), ma poiché taluni sono difficilmente misurabili a livello locale, per i confronti fra regioni si usa il dato più semplice, ma significativo, della produttività del solo fattore lavoro. Ebbene in Trentino, a causa delle strozzature del sistema- Paese ma anche di criticità locali, il PIL reale per lavoratore è diminuito nell’ultimo ventennio del 7,6%, mentre nelle regioni «pari» è costantemente cresciuto, sicché il divario con tali regioni è aumentato di oltre il 20%. Quest’aspetto colpisce: il raffronto con una selezione di dieci regioni europee (in Austria, Irlanda, Paesi Bassi, Belgio, Germania e Grecia) nostre «pari » in quanto aventi, come noi, meno di un milione di abitanti e nel 2001 una produttività del lavoro superiore alla media nazionale, è oggi impietoso.
A frenare il Trentino sarebbero soprattutto il settore manifatturiero, i servizi commerciali, le micro e piccole imprese operanti in settori maturi, i bassi livelli di occupazione femminile, la debole apertura internazionale delle imprese, il basso tasso di educazione terziaria fra i lavoratori e i ridotti investimenti aziendali in ricerca e sviluppo. Un bel misto di acciacchi.

Analisi comparativa dei fattori di produttività del Trentino con quelli delle regioni “pari”: in Trentino solo il 37% dei lavoratori ha trovato la sua attuale occupazione attraverso i canali formali (fonte : OECD (2024), “Rimettere in carreggiata la crescita della produttività del Trentino: Un confronto tra regioni “pari””, No. 2024/03, OECD Publishing, Paris, https://doi. org/10.1787/01229edf-it)

Ci può in parte consolare il fatto che in tutto il mondo i divari di produttività tra i Paesi e all’interno di essi sono notevoli e persistenti, vista la specificità dei rispettivi contesti. Fra questi, i tassi di occupazione e di reddito che, se alti, velano l’impatto corrosivo di una produttività anemica, specie quando quest’ultima, pur rallentando, rimane – come per il Trentino – al di sopra della media delle regioni OCSE non metropolitane (classificandosi nel 2019 all’83° posto su 1098 regioni OCSE). Ciò può anche essere un motivo, o un alibi, per l’attenzione piuttosto scarsa e intermittente che da noi questo tema suscita in ambito politico.

Soltanto nove dei 27 Paesi europei hanno istituito un comitato nazionale per la produttività, raccomandato dalla Commissione UE, e non l’Italia. Una pecca. In Trentino, si cerca almeno di monitorare scientificamente il fenomeno, che reclama risposte tempestive con effetti nel lungo periodo, le meno ghiotte per la politica. Il rapporto ne suggerisce alcune: riqualificare la manifattura, rilanciare e internazionalizzare i settori commerciabili; aumentare il tasso di attività femminile; promuovere l’istruzione terziaria della forza lavoro; incentivare la ricerca e l’innovazione nelle imprese. Suggerimenti, come si nota, di ampia prospettiva, che non colpiscono nessuno in particolare, ma dovrebbero dare la sveglia a molti, per allontanarci dal pericoloso scivolo della mediocrità.

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