La logica degli algoritmi che silenzia gli aneliti di pace

Ci sono due fotografie, due immagini che mi hanno accompagnato per tutto lo scorso fine settimana: si accompagnavano, poi si alternavano, spesso si sovrapponevano. Quasi che quelle due situazioni – così diverse e distanti – volessero evidenziare un filo nascosto che le teneva unite.

La prima riguarda una piccola fontana, copiosa d’acqua, che si trova sulla strada che sale da Rovereto verso l’Ossario. È collocata sulla destra, in prossimità di una curva dove però lo sguardo tende ad essere catturato da una splendida chiesetta che si trova sulla sinistra. I roveretani conoscono molto bene questa zona da cui ci si può affacciare sui tetti della città. Cercando qualche informazione su internet (oggi le ricerche sono semplici e di grande comodità) anche il “forestiero” scopre che si tratta di un Santuario, con una facciata in stile barocco-rococò (che non passa inosservata), che fu costruita agli inizi del 1600. Fu chiamata “dell’Assunzione”, poi “dell’Annunciazione, quindi “della Consolatrice degli afflitti”. Ma per i roveretani è da sempre, più semplicemente, la chiesa della “Madonna del Monte”: così il popolo l’ha sempre chiamata e così viene indicata anche oggi.

La piccola fontana è collocata proprio di fronte alla chiesa. Qui oggi si fermano a rinfrescarsi coloro che salgono a piedi; molto più spesso sono i ciclisti ad approfittarne per riempire la borraccia. Cento anni fa non era così: quella fonte era un riferimento fondamentale per migliaia di soldati che lungo le pieghe di quelle montagne avevano scavato trincee da dove potevano sentir parlare e persino guadare negli occhi i “soldati nemici”.

Che strana la guerra, quando non è semplicemente raccontata o esaltata, ma si rivela nella sua terribile essenza perché mette una contro l’altra persone che non hanno alcun motivo di detestarsi. Li divide solo la divisa e – non sempre – la lingua. E così, a quella fontana, che si era trovata in una sorta di terra si nessuno, dal Natale del 1915 al maggio del 1916, soldati degli “eserciti nemici” si trovavano ad attingere l’acqua alla medesima fonte. “Affratellati”, specifica la lapide che è stata collocata sul bordo e che racconta quella storia. I vecchi di Rovereto hanno tramandato che i soldati dell’una e dell’altra parte non solo si ritrovavano a quella fontana, ma talvolta si aiutavano reciprocamente a sistemare sulle spalle il “congial”, il contenitore per il trasporto dell’acqua.

La seconda cartolina che è rimasta negli occhi è invece un’immagine aerea di centinaia di bandiere slovene che, sabato scorso, riempivamo le rampe di una salita del Giro d’Italia. Erano vessilli che inneggiavano a Tadej Pogacar, giovane fuoriclasse che ha dominato la corsa rosa: una grande festa con decine di migliaia di persone pronte ad incitare i corridori.

Ciò che colpiva, in quelle riprese televisive, erano i colori: quelli delle magliette, delle macchine, degli striscioni, ovviamente quelli delle bandiere. Quasi che cento anni dopo, il Monte Grappa volesse appropriarsi finalmente di un arcobaleno cromatico per cancellare il colore della guerra e della morte.

Peccato che la strada che dalla vetta porta a Bassano venga ancor oggi chiamata “strada Cadorna”, dal nome di quel generale che è passato alla storia non solo per la sconfitta italiana di Caporetto, ma anche per la brutalità con cui mandava al massacro migliaia di ragazzi nemmeno ventenni (i “ragazzi del ‘99) e per la ferocia con cui fece uccidere coloro – soldati italiani – che non obbedivano agli ordini (che erano quelli di “andare avanti” e diventare carne da macello”).

Sui libri di storia, le “condivisioni dell’acqua” non vengono raccontate, perché il nemico non può avere un volto uguale al nostro, non può avere la medesima sofferenza e la stessa voglia di tornarsene a casa. L’umanità dei gesti quotidiani ha la forza di sovvertire la ferrea logica dello sconto portata avanti dai generali, degli strateghi, di chi esalta sempre e comunque la capacità bellica, di un’informazione che si appiattisce e non riconosce il valore del dialogo.

Uno schema che sembra riproporsi anche oggi, nonostante il mondo digitale ci dia l’illusione di essere finalmente informati su tutto: le storie sui social, i video su YouTube, le televisioni che ci portano il mondo in casa, comprese le guerre.

Abbiamo l’impressione di riuscire a comprendere tutto, mentre le logiche degli algoritmi ci spingono invece sempre più verso la curva dei tifosi, in una polarizzazione che può facilmente trasformare il più semplice “noi e gli altri” nel più pericoloso “noi e il nemico”.

La logica degli algoritmi (magari costruiti proprio per arrivare ad una deformazione della realtà per renderla funzionale al proprio punto di vista, al proprio interesse) non prevede il racconto della fontana dei soldati affratellati, così come preferisce far passare in secondo piano gli appelli di papa Francesco o del cardinale Matteo Zuppi.

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