Tra i comportamenti che la pandemia ha imposto a tutti noi, il distanziamento sociale è quello che ha colpito più profondamente le nostre abitudini, vietandoci abbracci, ritrovi in gruppo, cene in compagnia. Contemporaneamente, l’isolamento fisico ha diffuso velocemente l’abitudine a nuovi modi di incontro grazie al web.
Girata durante il lockdown e disponibile da ottobre su Netflix, “Social Distance” è una serie antologica che prova a descrivere come cambiano i rapporti tra persone costrette a parlarsi attraverso un monitor.
Gli otto episodi della miniserie sono altrettanti cortometraggi che in una ventina di minuti descrivono i protagonisti, delineano una situazione, raccontano una storia. A legarli, a parte il fatto di cronaca, l’uccisione di George Floyd, che chiude il settimo ed è il motivo di fondo dell’ultimo episodio, dove il rapporto tra i due personaggi ritorna in presenza, c’è l’attenzione ai sentimenti dei protagonisti, indagati con delicatezza e profondità, nonostante la brevità del racconto.
Rimangono impressi i ritratti dei personaggi che sfilano davanti alla telecamera del loro personal computer, condividendo con l’interlocutore e con lo spettatore dolori, paure, emozioni, passioni e regalando momenti di commozione, ma anche lampi di ironia. In Social Distance troviamo bambini, anziani, coppie, single, lavoratori e pensionati, genitori e figli, alle prese con una quotidianità modificata dalla pandemia ma piena di vita da scoprire.
Più realistica la prospettiva di “Fuori era primavera”, film collettivo diretto da Gabriele Salvatores, che ha intrecciato in poco più di un’ora di girato i contributi arrivati da 16mila cittadini. Il documentario, presentato al Festival del cinema di Roma e disponibile su RaiPlay, è stato trasmesso da RaiTre il 2 gennaio in seconda serata. Si tratta di un ideale viaggio nell’Italia del lockdown fatto da frammenti di una realtà che speriamo di aver consegnato alla storia.
Ogni pezzo del puzzle racchiude una situazione o un sentimento sicuramente, anche se magari diversamente, vissuti dallo spettatore in quei mesi in cui tutti eravamo costretti in casa. Una visione che si accompagna dunque all’empatia e all’emozione, in un racconto corale preceduto dalla rappresentazione di una natura incontaminata che, assieme ad un velato accenno di condanna sociale, prova ad indicare una strada per un futuro migliore. Due modi diversi per ricordare un’esperienza vicina e comune e per tornare a guardare al domani con maggiore consapevolezza.
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