La fine della coscienza storica?

A Lazfons, sopra Chiusa, sabato 10 ottobre l’inaugurazione di un monumento al Tirolo storico, nei 100 anni dalla divisione successiva alla Grande Guerra

Per il terzo anno consecutivo di questi tempi si fa memoria della divisione del Tirolo storico. Nel novembre 2018, ad un secolo dalla fine della Prima guerra mondiale con la separazione di fatto del Tirolo meridionale da ciò che restava dell’Austria. Nel settembre 2019 a cent’anni dal trattato di St. Germain che tracciava le nuove frontiere italo-austriache. Ed ora, precisamente lo scorso 10 ottobre, il centenario della legge di annessione, con la quale il Parlamento italiano dava definitiva esecuzione al trattato.

Ci sono due estremi ai quali siamo esposti e che poco hanno a che fare con una sana narrazione della storia. Il primo è quello rappresentato dall’uso delle vicende storiche per motivi politico-ideologici. Si fa una selezione di eventi, di quegli eventi che possono essere utili a sostenere la propria posizione. La strumentalizzazione della storia è una costante nello sviluppo di un territorio come quello del Tirolo, almeno a partire dalla metà dell’800. I nazionalismi di ogni matrice hanno cercato di raccontare la storia a giustificazione delle loro azioni malefiche.

L’altro estremo è quello che papa Francesco, nella sua ultima enciclica “Fratelli tutti”, definisce “la fine della coscienza storica”. Uno strumento dell’economia globale “per imporre un modello culturale unico”. Per questo si favorisce “una perdita del senso della storia che provoca ulteriore disgregazione. Si avverte la penetrazione culturale di una sorta di ‘decostruzionismo’, per cui la libertà umana pretende di costruire tutto a partire da zero. Restano in piedi unicamente il bisogno di consumare senza limiti e l’accentuarsi di molte forme di individualismo senza contenuti”.

La strumentalizzazione della storia e la perdita della coscienza storica vanno sempre a braccetto.

Dopo cento anni dalla sua fine cediamo ancora alla tentazione di ridurre l’esito della Grande Guerra alla separazione del Tirolo. Si tratta certamente di un aspetto importante, vissuto dai più come un’ingiustizia e una ferita e che pone la domanda sul senso dei confini e del loro superamento. Ma la tragedia di quella guerra – come di ogni guerra – sta nelle sue cause, nell’incapacità umana di evitare l’uso della violenza, nei milioni di morti sui campi di battaglia e in molti altri luoghi. E nel fatto che pochi malvagi, per i loro interessi, mandano milioni alla rovina.

Il presidente altoatesino Arno Kompatscher sottolinea che “se pensiamo a quanta sofferenza ha generato al Tirolo la storia del secolo scorso e poi apriamo gli occhi sulla situazione attuale, possiamo affermare che, nonostante tutte le difficoltà incontrate, siamo riusciti a preservare la nostra identità e a costruire una buona e pacifica convivenza”. Ricorda che “siamo tornati assieme nell’ambito dell’Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino” e che “abbiamo trovato i mezzi e le strade per superare questo nuovo confine in pieno spirito europeista”. E conclude: “I padri fondatori dell’Europa sono riusciti a trovare una visione comune proprio perché hanno rinunciato ai punti di vista nazionali. Ora tocca a noi dare il nostro contributo per sostenere ulteriormente la buona e pacifica convivenza in Europa”.

Il vescovo Ivo Muser, a un secolo dalla conclusione del conflitto, scriveva: “Non dimentichiamo mai: la guerra non ha inizio sui campi di battaglia, ma nei pensieri, nei sentimenti e nelle parole delle persone. I nostri pensieri non sono mai neutrali e il nostro linguaggio ci tradisce sempre. C’è una stretta correlazione tra pensare, parlare e agire, cent’anni fa e anche oggi. Non dimentichiamo poi le migliaia di giovani, anche della nostra terra, mandati al massacro. Sono un monito a lavorare per concreti progetti di pace. L’auspicio è che siano soprattutto i nostri giovani a costruire assieme il loro presente e il loro futuro”.

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