Siamo giunti alla fine del pontificato di Benedetto XVI, ora la sede apostolica è vacante. Non ci saranno però giorni di lutto, perché il Papa non è morto, bensì si è ritirato dal mondo e si è dimesso dal suo servizio di pastore della Chiesa universale. Fino a qualche settimana fa questo potrebbe essere l'inizio di un romanzo, tanto remota era quell'eventualità diventata ora storia. Siamo di fronte a un avvenimento epocale, una svolta inaspettata e grandiosa che colpisce chiunque ragioni senza pregiudizi.
I credenti sono però chiamati a un passo ulteriore: quello di vedere nella storia la presenza di Dio. Una presenza sempre incarnata, vale a dire che deve sempre fare i conti con la debolezza e la libertà degli uomini, che è sempre impastata con la terra. Dio si è incarnato e da allora è con noi in ogni nostra scelta.
Sicuramente Papa Ratzinger, uomo e sacerdote proteso "alle cose di lassù" fino ad essere criticato per la sua mancanza di polso nel governo temporale della Chiesa, ha preso questa inaudita decisione cercando di cogliere quale era la volontà di Dio sulla sua persona e sulla comunità dei credenti. Benedetto è salito sul monte, come ha ricordato nel suo ultimo Angelus da pontefice, seguendo una nuova tappa della sua vocazione. Quello che resta – questa la sua definitiva lezione, quasi il suo testamento – è la preghiera intesa come discernimento interiore e come intimo dialogo con Dio. Alla fine è la coscienza ad agire con responsabilità e fede in piena libertà. Soltanto là si incontra Dio. Soltanto attraverso gli uomini si dipana l'azione di Dio nella storia.
La fede ci fa intuire questo disegno provvidenziale. Sappiamo però quanto la fede sia una luce oscura benché, come dice il salmista, per il Signore anche le tenebre sono luce. Benedetto non ha nascosto la delicatezza e la difficoltà della situazione. Ha pregato, si è affidato. Ogni lettura che parla di scandali, retroscena, complotti – dicerie con un fondo di verità ma sempre esagerate quando si tratta del Vaticano e dintorni – è fuorviante perché non coglie il punto fondamentale della scelta del Papa: la fede. È da lì che tutto parte e a cui tutto ritorna. È a questo livello che si coglie la drammaticità di queste giornate convulse. Se non si capisce che il comportamento di Benedetto si basa sulla fede, sulla sua particolare interpretazione della fede cristiana, non si potrà mai interpretare autenticamente il suo gesto e le conseguenze che esso comporta.
Siamo nell'anno della fede. Non è un caso. Come non è un caso che Papa Ratzinger non arrivi a scrivere la terza enciclica, dopo quella sulla speranza e sulla carità. Eppure tutto il suo pontificato si è basato sulla ricerca dell'essenziale, nel tentativo di riportare una scintilla di sacro in questo mondo ormai infelicemente proteso su se stesso, una volta dimenticato Dio e disumanizzato l'uomo. Qui sta anche la tragicità del momento per altro non nascosta dal Papa: non si riesce a far maturare la fede neanche dentro la Chiesa, neanche nei suoi più alti rappresentanti che invece si dilaniano e si divorano a vicenda. C'è ancora posto per la fede nel mondo? La Chiesa è ancora capace di testimoniarla? Benedetto XVI sembra dirci che il tempo per affidarci a Dio continua, che ogni momento è l'ora della conversione e della preghiera, ma nello stesso tempo afferma implicitamente che per proseguire nel cammino del Signore occorre allontanarsi dal mondo.
Come Celestino V, il santo eremita, Papa per pochi mesi perché non riusciva a sopportare l'attaccamento al potere della Curia romana ed era impossibile realizzare quel rinnovamento spirituale da lui auspicato. Andandosene Benedetto riecheggia l'inquietante domanda di Gesù: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc 18,8). La fede è quell'inestirpabile desiderio di Dio che ci fa vedere l'invisibile nell'oscurità, è quel percepire il mondo come attraversato da una insopprimibile speranza di salvezza; la fede attesta la vittoria della vita e del bene, legandoci per sempre a qualcosa più grande di noi, all'amore perenne del Padre, al giudizio misericordioso del Figlio, alla forza sorgiva dello Spirito.
Dimesso un papa se ne fa un altro. La successione potrebbe essere liquidata così, come banalmente fanno gli ignoranti e gli scettici. Certamente il conclave eleggerà un nuovo pontefice, che dovrà essere relativamente giovane ed energico, capace di una profonda revisione della struttura stessa della Chiesa, ma soprattutto pieno della fede che Joseph Ratzinger è stato in grado di comunicarci in questi anni.
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