La contesa tra Iran e Israele destabilizza il Medio Oriente

Razzi iraniani nel cielo di Israele. Foto AFP/SIR

In Medio Oriente le notizie corrono veloci e si modificano nel giro di poco tempo. Il 13 aprile eravamo tutti con il fiato sospeso per l’incredibile massiccio attacco di missili e droni lanciati dall’Iran contro Israele. Pochi giorni dopo siamo costretti di nuovo a commentare la battaglia e le terribili sofferenze nella striscia di Gaza. Ma nel mondo politico e militare non si cessa di parlare dello straordinario scambio di fuoco fra i due grandi nemici del Medio Oriente. In effetti, Iran e Israele rappresentano il vero fattore di instabilità e di minaccia nella regione.

Forse non ci si rende ancora conto dell’abisso in cui abbiamo rischiato di precipitare se uno dei missili iraniani non fosse stato intercettato e fosse finito in un centro popoloso di Israele o che cosa sarebbe potuto accadere se la risposta israeliana nei cieli iraniani fosse stata molto più dura di quanto è in realtà avvenuto. Alcuni analisti giudicano che i trecento e oltre missili e droni iraniani rappresentano il maggiore assalto con questi mezzi mai realizzato in tempi recenti. Neppure i russi hanno potuto dimostrare un’analoga potenza di fuoco contro l’Ucraina, il che dà la misura delle ambizioni di Teheran nel dimostrare la sua titolarità a presentarsi come una temibile potenza regionale. Fra il resto è interessante considerare che l’Iran è l’unico paese che, dopo il lancio di missili Scud nel lontano 1991 da parte dell’iracheno Saddam Hussein, abbia osato attaccare direttamente il territorio dello stato ebraico.

Il fatto che non ci si trovi oggi di fronte ad un vasto conflitto regionale dipende da alcuni elementi che hanno favorito la cosiddetta “de-escalation” del botta e risposta fra Teheran e Tel Aviv. Il primo è stato il ruolo giocato dall’intelligence, soprattutto americana.

Gli Usa hanno infatti appreso per primi della mobilitazione dei pasdaran e della quantità di missili e droni che erano pronti a lanciare. Che Teheran per vie secondarie abbia anche avvertito Washington non è affatto sicuro. Quello che sicuramente è avvenuto è che le informazioni dell’intelligence hanno permesso a Washington di mettere in piedi una coalizione di paesi che oltre ad Israele hanno potuto contare su Francia e Inghilterra, ma soprattutto Giordania e Arabia Saudita. Coalizione non solo politica, ma addirittura militare con l’obiettivo di aiutare Tel Aviv ad abbattere i droni e soprattutto i missili.

Come è evidente a stupirci è stato soprattutto il ruolo giocato dai due paesi arabi: la Giordania abbattendo alcuni droni di passaggio sui propri cieli, l’Arabia Saudita tenendo a bada i ribelli Houthi a sud e segnalando agli israeliani l’arrivo dei missili.

Insomma, un’inaspettata collaborazione in funzione anti-Ayatollah e soprattutto decisa ad evitare l’estensione a tutto il Medio Oriente della guerra. Ciò ha anche permesso alla coalizione di obbligare Israele a moderare la propria risposta e limitarsi alla dimostrazione della sua capacità a fare penetrare i missili nel territorio iraniano senza grandi difficoltà. Difficile tuttavia pensare che da questa collaborazione un po’ anomala possa nascere una vera e propria coalizione di stati pronti ad intervenire in funzione anti-iraniana: per Amman e Riad è stata solo la dimostrazione di un interesse contingente a bloccare ogni nuovo focolaio di tensione e guerra.

Essere arrivati ad una spanna dall’orlo del precipizio ha fatto poi comprendere ad Israele che non è né saggio né utile agire senza freni in Medio Oriente uccidendo a piacere esponenti di alto grado dell’apparato militare iraniano, l’élite della guardia rivoluzionaria, come accaduto con il bombardamento del consolato di Teheran a Damasco.

Non è possibile, in altre parole, andare a sfidare il nemico in territorio straniero e non pensare che poi ne sarebbe derivata una ritorsione, per di più massiccia come successo in questo caso. Sul piano più negativo per Israele vi è poi la constatazione che, senza il sostegno determinante della coalizione, il tanto vantato apparato antimissile israeliano non sarebbe da solo riuscito ad abbattere la quantità di droni e missili che hanno solcato il suo territorio.

I due nemici in ogni caso hanno potuto valutare direttamente la forza e la debolezza dei rispettivi sistemi militari e ciò potrebbe convincerli ad evitare ulteriori scontri, almeno per il momento. Non è possibile infatti illudersi che il conflitto fra i due abbia finito con il determinare un perfetto equilibrio militare. In effetti sullo sfondo aleggia l’incubo di un rapido avvicinamento degli Ayatollah alla produzione della bomba atomica e a un radicale cambiamento delle prospettive militari nel Medio Oriente.

Ancora scontiamo l’improvvida decisione di Donald Trump, quando era presidente, di ritirarsi unilateralmente dall’accordo sul controllo nucleare con l’Iran.

I venti di guerra di oggi dovrebbero spingere l’intera comunità internazionale a riprendere il cammino di allora volto a mantenere sotto controllo le ambizioni nucleari di Teheran. C’è da sperare davvero che Trump non ritorni a governare gli Usa. Un’altra buona ragione per sostenere Joe Biden.

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