Girata in parte nel vecchio carcere di Trento e sulle Dolomiti di Fassa, una moderna favola anticrisi
Dino è separato e lavora come tatuatore in uno studio che è anche la sua casa. Bruna ha un centro estetico, è assillata dai creditori e tradita dal fidanzato. Per arrotondare lavora nel carcere di Venezia, dove poco prima di morire Norma Pecche, famosa e ricca detenuta, le rivela un segreto: nella sua casa, nascosto in un'antica sedia zebrata con lo schienale a forma di elefante, è conservato un tesoro.
Decisa a dare una svolta alla sua vita, Bruna si trova ben presto nei guai e l'unico a cui chiedere aiuto è Dino. Comincia così la rocambolesca ricerca della sedia, impresa non facile dal momento che tutti i mobili sono stati venduti da acquirenti diversi, che porterà i due e il cappellano del carcere, padre Weiner, dalla laguna veneta alle colline veronesi fino alle magiche vette dolomitiche, in un susseguirsi di colpi di scena e di incontri con personaggi bizzarri e improbabili.
La sedia della felicità, ultimo film di Carlo Mazzacurati, prematuramente scomparso lo scorso gennaio, è una favola divertente e surreale, capace di regalare un'ora e mezza di leggerezza allo spettatore. Presentata in anteprima nell'autunno scorso al Torino Film Festival, la storia è tratta da un racconto russo che ha ispirato in passato altri film.
La pellicola riesce a mantenersi in un equilibrio convincente tra l'incredulità della fiaba e la concretezza della vita reale, tessendo una commedia sentimentale on the road che scivola veloce e riesce a catturare lo spettatore, strappandogli molti sorrisi.
Lungo il cammino, l'incontro dei protagonisti con personaggi spesso al limite della caricatura arricchisce il racconto di pennellate sociali: il rapporto con gli stranieri, il lavoro nero, la crisi, la malattia del gioco d'azzardo. Spunti che rimangono a mezz'aria ma che rimandano ad un'umanità dolente e attuale.
Ad accomunare i personaggi è la solitudine, che si risolverà per Bruna e Dino in una storia d'amore cullata dalle mille peripezie della loro avventura, coronata dal ritrovamento del tesoro e da una riconquistata serenità da condividere insieme.
Perfetti i protagonisti, in particolare Valerio Mastandrea, decisamente a suo agio nei panni gentili di Dino, e Isabella Ragonese, una Bruna sorridente nonostante le avversità. Convincente anche Giuseppe Battiston, un padre Weiner sopra le righe destinato suo malgrado ad entrare nella leggenda sul finire del film. Non si contano i personaggi secondari, che propongono tra gli altri, in un caleidoscopio di camei, Katia Ricciarelli, Milena Vukotic, Roberto Citran, Raul Cremona, Marco Marzocca, Antonio Albanese, Silvio Orlando, Fabrizio Bentivoglio.
“La cosa che più mi stava a cuore era riuscire a tenere insieme il senso di catastrofe, in cui sembra che tutti stiamo cadendo, con l’energia e la voglia di riscatto che nonostante tutto si sente nell’aria”: rileggendo la dichiarazione del regista, l'obiettivo sembra raggiunto.
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