“In mani sicure”, quando la fragilità si fa risorsa in una delicata storia di adozione

In mani sicure, così lo hanno tradotto, ma il titolo originale è Pupille e designa la condizione del protagonista di un delicato film franco-belga diretto da Jeanne Herry nel 2018.
Messo al mondo e abbandonato dalla madre, una studentessa universitaria che non può e non vuole prendersi cura di lui, a due mesi e mezzo dalla nascita il piccolo Théo diventa Pupillo dello Stato che si mette alla ricerca di una famiglia adottiva. La giovane regista, al secondo lungometraggio, segue l’iter dalla nascita all’adozione con l’occhio realistico prossimo al documentario tipico del cinema belga, insieme ad una grande attenzione per il dato umano sottostante la procedura burocratica.

L’attenzione, in primo luogo, va al neonato che subisce il trauma radicale dell’abbandono: la madre, infatti, non lo guarda alla nascita né lo tocca e men che meno lo attacca al seno, e quando qualche giorno dopo si convince a salutare il bambino prima di lasciarlo definitivamente, gli farà mancare anche il suono della sua voce. Il film registra le reazioni del piccolo, così come l’apparecchiatura medica rileva il suo battito cardiaco.

Nello stesso tempo questo sguardo sensibile si estende a tutti gli operatori in gioco che cercano di compensare le falle del sistema sociale – quelle inevitabili e quelle assurde che discendono dall’impossibilità/incapacità di adattare la norma al caso personale.

La frustrazione che deriva dalla rigidità del sistema sta spingendo l’operatore familiare esperto Jean ad abbandonare il lavoro, quando l’arrivo di Théo con il suo evidente bisogno di accoglimento gli restituisce il senso e l’urgenza del ruolo.

La regista lo rimarca rovesciando lo stereotipo e affidando ad un uomo (e ad un interprete straordinario) un ruolo di accudimento materno, e lo stesso farà incrociando il bisogno del bambino di avere una madre, con quello di una donna che lungo la via dell’adozione è ritornata single ed è però disponibile ad accogliere casi affetti da disagio.

Il ritratto che ne esce è quello di una fragilità e di una instabilità che attraversa tutta la società e tocca ormai più o meno tutti. Questa fragilità, tuttavia, può diventare risorsa se accolta e guardata consapevolmente. La consapevolezza restituisce anche una prospettiva più autentica, e lascia vedere che la soluzione non scende dall’alto dello Stato e dei protocolli, ma arriva da una rete di responsabilità personali incrociate che si fanno carico dell’altro. È questo che può trasformare anche delle mani inadatte secondo il giudizio del passato in mani sicure, restituendo ad un orfano di Stato la possibilità di diventare se stesso.

In esclusiva su Raiplay. Da vedere.

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