“Illusioni perdute”, fake news e odio dal re Sole ai social nel film di Giannoli

Una scena di “Illusioni perdute” di Xavier Giannoli

Rimettere piede al cinema dopo due anni di pandemia e arrivare nella Sala della Cooperazione che accoglie quanto resta dell’Astra per vedere un film dal titolo Illusioni perdute, dice qualcosa di per sé; tanto più se l’ultimo prima della bufera, visto sempre all’Astra, è stato Cattive acque.

A motivarmi, nonostante ciò, è stato il nome del regista, Xavier Giannoli che prima di questo ha firmato L’Apparizione, lavoro intenso e qualcosa più che interessante (vedi Vita Trentina del 2.5.2021). Lì era un giornalista d’inchiesta traumatizzato dalla guerra di Siria a cercare la verità di un fenomeno religioso legato all’Apparizione della Vergine sulle Alpi francesi a una giovanissima novizia. Qui c’è il romanzo di Balzac che descrive la società francese all’epoca della Restaurazione attraverso le vicende di due giovani poeti, David e Lucien, e in particolare la caduta del secondo che, a Parigi, si lascia sedurre dal facile successo di un giornalismo letterario prezzolato e costruito sulla polemica gridata.

Giannoli si concentra su questo personaggio e su questa parte dell’opera (Un grande uomo di provincia a Parigi), che porta sullo schermo con una ricostruzione d’ambiente accurata e uno stile narrativo fedele al Romanzo francese ottocentesco, con una voce narrante fuori campo molto presente. In realtà, grazie a questa che a volte rappresenta l’autore letterario ma più spesso il regista, attua un corto circuito temporale tra ieri e oggi che gli permette di denunciare la condizione contemporanea dell’informazione dopo quasi mezzo secolo di società di massa, di showbiz e di mercato pubblicitario deregolato. Ed è abile nel condurre il gioco di specchi che si estende al tempo dei social e delle fake-news, dell’odio e della maldicenza alimentati ad arte per distruggere o esaltare a seconda del miglior offerente. Mentre nel passato, attraverso le musiche e un’iconografia parigina postribolare, rievoca il Settecento, e su su fino al re Sole che aveva portato l’aristocrazia alla deboscia con gli stessi richiami che ora seducono il giovane Lucien.

Niente di nuovo, insomma. È però triste riconoscere la caduta morale di cui i media hanno dato ulteriore prova nel tempo della pandemia, e provoca un certo soprassalto la voce narrante che profetizza l’imminente arrivo dei banchieri al potere. Ma è anche inutile. Non sarà certo il cupio dissolvi in costume a restituire fibra morale ai costumi. Non c’era riuscito Fellini 62 anni fa con la più originale e raffinata denuncia dell’epoca dei paparazzi.

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