Dopo La ricerca della felicità (2006), Gabriele Muccino, alla sua quarta pellicola americana, indaga ancora una volta i rapporti familiari, questa volta dalla parte di Padri e figlie con un film ambientato a New York che ricostruisce attraverso numerosi flashback la commovente storia di Jake Davis (Russel Crowe, anche produttore esecutivo), scrittore vincitore di un premio Pulitzer, e della figlioletta Katie.
In seguito ad un incidente stradale in cui la moglie muore, Jake è costretto al ricovero in un ospedale psichiatrico per curare gravi disturbi nervosi e ad affidare la bambina agli zii che poi intenteranno una causa per l'affidamento. Tornato a casa dopo 7 mesi, infatti, spesso è preda di convulsioni che mettono in pericolo la sua vita, tuttavia lo scrittore si prende cura della figlia lottando per non perderla e al tempo stesso cerca di lavorare per garantirle un'istruzione adeguata. Il nuovo libro riceverà solo critiche negative, ma al "Perché non scrivi di noi?" di Katie, Jake troverà di nuovo l'ispirazione per quello che sarà il suo ultimo romanzo, "Padri e figlie".
25 anni dopo, Katie (Amanda Seyfried) si è laureata in psicologia ed è diventata assistente sociale. La giovane donna non riesce a costruire legami sentimentali stabili, e vive perennemente in bilico tra incontri occasionali con uomini a cui si concede per cercare di riempire il vuoto lasciato dalla perdita dei genitori e l'impegno nel seguire il caso di Lucy, una bambina di 12 anni che, dopo aver visto uccidere la madre prostituta, ha smesso di parlare. Attraverso la sua dolorosa esperienza, Katie riuscirà a trovare la chiave giusta per conquistare la fiducia di Lucy e restituirle speranza nel futuro, mentre il legame con Cameron, l'uomo di cui si innamora, farà venire a galla tutte le insicurezze sulla sua capacità di amare.
L'insistito alternarsi di piani temporali diversi rappresenta il limite di una pellicola che lascia i protagonisti, soprattutto nella seconda parte, un po' ingessati, con immagini che si sovrappongono alle altre, simili a pennellate prive della densità necessaria per far risaltare la complessità dei sentimenti in gioco. Una scelta del regista che rispecchia (volutamente?) la frantumazione che l'esperienza del dolore implica: difficile portarla sul grande schermo senza correre il rischio di volerla risolvere o semplificare. Le emozioni sono tradotte senza eccessive sbavature emotive e il "gladiatore" Russel Crowe è padre indomito che affronta con contegno e dignità il suo dramma, trovando riscatto nell'amore per la figlia e nella scrittura. Anche Katie lotta, e la camera la segue da vicino nelle sue fughe per le vie della città, ingabbiata nell'immobilità interiore alla quale la condanna la paura di perdere le persone amate. Paura che supererà trovando il coraggio di amare di nuovo, accettando con la mente e con il cuore che "ogni cosa vive e muore, sorge e tramonta, ama e va via".
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