Pro 8,22-31
Salmo 8
Rm 5,1-5
Gv 16,12-15
Sono convinto che la verità a cui lo Spirito ci guida si svela nella differenza di persone, di popoli, di idee? La mia comunità lavora nella consapevolezza che ogni differenza è parziale e deve lasciarsi arricchire e completare da altre intuizioni?
In una società come la nostra, in cui ci si può impegnare pienamente in tante cose (lavoro, politica, volontariato, sport…) senza mai incontrare Dio, cercare di capire Trinità, cioè un Dio in tre persone uguali e distinte, diventa un’impresa piuttosto ardua e può sembrare un compito inutile, una perdita di tempo. Possiamo infatti chiederci: cosa ha da spartire la Trinità con le sofferenze di tanta gente? Cosa ha a che fare con la fame nel mondo, con la disoccupazione, con le malattie che non lasciano scampo? Saremmo tentati di rispondere: niente, assolutamente niente. Ma forse non è così. Anzi tutto perché il Dio in tre persone ci parla del valore della relazione: Dio è relazione, è amore e quindi ha bisogno di uscire da sé, di incontrare altri, non di restare solo nel suo cielo magari per dimostrare la sua potenza. Questo Dio ci racconta da subito «il valore della differenza».
Nella storia della Chiesa e dell’umanità lo abbiamo capito tardi, molto tardi. Qualunque difformità di pensiero o di azione sembrava frantumare la Chiesa e la società e costituiva quindi un pericolo da combattere. La ricchezza che si manifestava in opinioni differenti lasciava spesso emergere non errori, ma uno sguardo più profondo, una interpretazione della Parola di Dio più arricchente e più vera. Prendiamo come esempio il roveretano Antonio Rosmini: non fu censurato in quanto eretico, ma solo perché la sua visione era diversa da quella vigente, anzi, addirittura più conforme al Vangelo (e dal 18 novembre 2007 è venerato come beato!). Tutto questo non deve scandalizzare; in passato non si credeva in un Dio diverso, non è cambiata la fede in Dio, come talvolta si sente dire. Non lo è perché credere è un lungo cammino, nel quale diventa più vero e più autentico il rapporto con Dio. Gesù stesso lo aveva detto: «Molte cose ho ancora da dirvi… Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che ha udito e vi annuncerà le cose future» (Gv 16,12-13).
Gesù sa che i discepoli non sono ancora in grado di portare il peso di tutte le sue parole. Per questo viene incontro alla loro e nostra debolezza e promette lo Spirito Santo. Un poco alla volta, capiremo la grandezza del mistero della persona di Gesù. C’è bisogno di attendere quanto lo spirito rivelerà. Celebrare la Trinità, però, non è soltanto esaltare il valore della differenza, della diversità. È anche testimoniare il valore dell’unità, o forse è meglio precisare della «comunione», perché è un termine meno equivoco, Quante volte, infatti, diciamo unità e intendiamo «uniformità»! Come se vivere fosse ripetere le stesse parole come pappagalli o fare le medesime azioni. Vivere è «con-vivere» , il mettersi insieme di persone diverse, di pensieri diversi, di interpretazioni diverse. Dio dimostra così il suo amore per gli uomini, rispettandone i tempi di crescita e la personalità. E in questo io colgo un messaggio importante: la Trinità è un modello anche per i popoli del mondo, dove a ciascun uomo e a ciascuna donna va riconosciuta «la dignità di persona, la radicalità dell’uguaglianza e l’originalità della distinzione». Tutto questo è bene espresso dal vescovo Tonino Bello: «È in questo riconoscimento che si annida la matrice di ogni valore. È qui che si nasconde il segreto della pace. È da qui che nasce la speranza di un mondo nuovo della coscienza, cioè, che tutti gli uomini della terra sono persone, uguali e distinte. Quando a uno di questi termini viene inferta una ferita, allora si scatena la divisione, la guerra, la disperazione». E, se è davvero così, possiamo verificare che la Trinità non è affatto lontana da noi, è con noi e dentro di noi. È il Dio innamorato degli uomini che diventa per loro pienezza di vita.
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