È nelle sale Storia di una ladra di libri, trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo dello scrittore australiano Markus Zusak scritto nel 2005 (pubblicato in Italia da Frassinelli), ora portato sul grande schermo dal regista inglese Brian Percival, a sua volta ispiratosi alle esperienze vissute dai genitori durante il nazismo.
Protagonista della pellicola, ambientata durante la seconda guerra mondiale in Germania, è una ragazzina di dodici anni, Liesel Menninger, affidata ai genitori adottivi Rosa e Hans Hubermann. Liesel ha appena perso il fratellino, morto durante il viaggio che la stava conducendo nella sua nuova casa, e la madre, internata dal regime perché comunista. L'impatto non è semplice: Rosa (Emily Watson) è una donna burbera e severa, ma Hans (Geoffrey Rush) diventerà per lei un punto di riferimento importante. Liesel, infatti, troverà in lui l'aiuto e l'incoraggiamento necessario per imparare a leggere e a scrivere partendo proprio dalla lettura del libro trovato per caso accanto alla tomba del fratello nel giorno del funerale. Sarà solo il primo di una serie di libri "presi in prestito" che, insieme all'amicizia del coetaneo Rudy, le daranno conforto e la forza di sopportare la violenza della guerra.
Al termine di un rogo di libri dichiarati anti-regime, la ragazzina ne prende uno di nascosto: salvarlo dall'oblio è come lottare per salvare se stessa e coltivare una passione per la lettura che Ilsa, la moglie del sindaco, incoraggia lasciandole libero accesso alla sua biblioteca. Liesel entra così in un mondo di parole che aprono non solo le porte dell'immaginazione e della conoscenza ma contribuiscono a formare una coscienza che si oppone alle barbarie naziste.
Quando la famiglia decide di nascondere in cantina Max, un giovane ebreo figlio di un amico di Hans morto in guerra, tra i due nascerà un rapporto profondo che simboleggia il potere salvifico della letteratura. "Se gli occhi potessero parlare, cosa direbbero?" – "È una pallida giornata, tutto è incastrato dietro una nuvola e il sole sembra un'ostrica d'argento". Il ragazzo sollecita la capacità descrittiva di Liesel e a Natale le regalerà un libro dalle pagine bianche, invitandola a riempirle.
Un giorno il giovane si ammala e la ragazzina lo cura leggendo per lui. Una volta guarito, Max decide di andarsene per non mettere in pericolo la famiglia Hubermann, ma lascia a Liesel un insegnamento prezioso: le parole sono vita. Un nutrimento che alimenta la creatività e che ha reso sopportabile la reclusione dell'amico così come le lunghe nottate trascorse dagli abitanti del villaggio in cantina durante i bombardamenti, ore di terrore e angoscia che vengono alleviate dai racconti di Liesel.
Il potere delle parole si amplia infatti man mano che, testimoniando gli eventi, sono condivise, fatte uscire dalle pagine dei libri per essere narrate e poi scritte.
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