Una rivisitazione della vita di Turner: il regista è rimasto affascinato da questa figura di cui svela però anche le contraddizioni
Quando un regista risponde al nome del quasi settantaduenne britannico Mike Leigh, doppia Palma d’oro a Cannes per “Naked” e “Segreti e bugie”, la “materia” che passa sullo schermo non lascia indifferenti, si permea di contenuti stilistici autorali di prim’ordine. Non fa eccezione neanche l’ultimo lavoro da un paio di settimane in sala e candidato a 4 Oscar. “Turner”, pur trattandosi di una biografia improntata agli ultimi anni di vita del pittore della luce, del paesaggista romantico, delle marine come dei paesaggi alpini, delle grandi tempeste e degli incendi, acceso ma anche lugubre, che tanto colpì gli Impressionisti successivi, non segue pedissequamente corsi e trascorsi dell’artista. Piuttosto, ne è una rivisitazione che fin dalle fattezze di Timothy Spall – l’attore inglese che lo impersona (magnifico, premio per la migliore interpretazione maschile all’ultimo festival di Cannes) che con Leigh ha già lavorato in “Segreti e bugie” e che il grande pubblico conosce per la serie di Harry Potter – lo “tradisce”. Non è poi certo che il vero Joseph Mallord William Turner “grugnisse” in quel modo e con tanta continuità e neanche che fosse così sovrappeso. Certo era un eccentrico, pure un solitario, alla continua ricerca della luce perfetta, flâneur per le contrade d’Europa, armato sempre e dovunque di un taccuino imbrattato di schizzi, papà assolutamente inaffidabile (non si curò a lungo né della compagna, mai si sposò, che delle figlie). Visse per anni con il padre, ebbe relazioni fugaci, era un uomo rude. Leigh è rimasto affascinato da questa figura in qualche modo controcorrente, magari mediocre nella vita quanto grande con la tavolozza in mano. Ne mette in evidenza le contraddizioni, accentua la non corrispondenza tra l’uomo e l’artista (la Storia ne è piena). “Mi ha interessato soprattutto la qualità cinematografica delle sue opere”, ha dichiarato. Tantoché il regista inglese sembra quasi gareggiare, in alcune inquadrature, con il personaggio che ritrae, “dipingendo” sequenza dopo sequenza un’opera di più di due ore dai toni potenti ma anche oscuri e melanconici. Perché Turner, che negli ultimi anni non era più all’apice della fama e della considerazione della Royal Academy londinese, per quanto sia sedotto dal progresso – il treno a vapore, l’invenzione della fotografia – è ben conscio che un mondo, il suo, sta finendo ed un altro sta nascendo. Riflette, l’artista, melanconicamente. “Sono finito”, afferma, prima di farsi scattare un dagherrotipo. “La luce è Dio”, saranno le sue ultime parole pronunciate sul letto di morte, il 19 dicembre 1851 a Chelsea, nella casa dell’amante Sophia Caroline Booth. Era malato da tempo. Lasciò 300 dipinti e 19mila disegni. Una bellezza che Turner non voleva fosse dispersa. Come invece accaduto, dopo che il parlamento inglese votò una legge per permettere il prestito dei quadri ai musei fuori da Londra.
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