I lettura: 2Samuele 7,1-5.8b-12.16;
II lettura: Romani 16,25-27;
Vangelo: Luca 1,26-38
Sono cominciati i giorni dell’agitazione, della frenesia; anche coloro che non hanno ancora confuso il Natale di Gesù Cristo con quello dei mercatini o dei supermercati se ne lasciano poco o tanto contagiare: Natale viene una volta l’anno dopotutto, bisogna pur prepararlo…
Anche le iniziative all’interno delle Comunità cristiane hanno questo scopo: qualche incontro di riflessione, le celebrazioni della Novena, le Confessioni; i cori provano e riprovano i loro repertori musicali. Tante attività insomma: a che scopo? Per preparare Natale. Giusto: Natale infatti è una solennità che val la pena preparare.
Ma c’è il rischio di far confusione con le parole: come si deve dire per essere precisi? Prepararsi “al Natale” o prepararsi “il Natale”? Si dirà: “questo qui ha voglia di andare per il sottile”… Eh, no, non si tratta di sottigliezze; dietro le parole ci sono atteggiamenti, modi di pensare, che possono essere giusti oppure sbagliati.
Se Natale è un dono che viene da Dio, è più che ovvio predisporsi a riceverlo: allora ci si prepara al Natale (“spianando strade… raddrizzando sentieri”, con tutto ciò che questo può significare stando agli inviti di Giovanni Battista). Prepararsi al Natale è predisporsi adeguatamente ad accogliere Qualcuno che sarà lui stesso il centro della Festa: quindi, tutto il resto che si potrà fare non dovrà in alcun modo fargli ombra, ma piacergli piuttosto. Dovrà far risaltare ancora di più che, se Natale è festa grande, è solo grazie a lui!
Prepararsi il Natale invece è un parlare che nasconde un’idea totalmente errata: è come dire che la festa ce la organizziamo noi, e se sarà bella dipende da quello che noi mettiamo in programma. Come se, quando nasce un bambino, tutto il fascino stesse nella coreografia (la culla, gli annunci, i regali): eh no, è il bambino (fino a prova contraria) il centro di tutto.
Allora, correggiamo il nostro linguaggio quantomeno. Non diciamo più che dobbiamo prepararci il Natalezelten, sì li possiamo confezionare con le nostre mani, ma il Dono del Natale no: viene dall’alto, e noi possiamo solo aprirle le nostre mani (o meglio, il cuore) per riceverlo. Eh, non si tratta affatto di sottigliezze! Lo sperimentò anche il re David (ce ne parla la prima lettura). Progettava di costruire un tempio a Dio, ma si sentì dire da un profeta: “Tu costruirai una casa al Signore? Toglitelo dalla mente: sarà il Signore che donerà una casa (cioè una discendenza) a te”.
Del resto, il protagonista di tutte le grandi feste cristiane è sempre e soltanto Dio: noi siamo gli invitati. E solo se è davvero così, quelle Feste hanno probabilità di essere belle e lasciare un bel segno. Diversamente è inevitabile lasciarsi prendere dall’agitazione, dalla frenesia, e il dono di Dio è ridotto a pura coreografia. In tal caso, nessuna meraviglia che le Feste provochino l’amaro in bocca ancor prima di cominciare; poi dall’amaro in bocca si passa all’acidità di stomaco… e non si vede l’ora che finiscano. Pertanto, cerchiamo di rimanere lucidi, evitiamo di far confusione: noi siamo gli invitati alla Festa di Dio, non i protagonisti.
Ah, certo, la collaborazione è gradita al Signore, anzi, l’attende. Prepararsi al Natale è collaborare con lui, nel modo che gli piace. Come ha fatto Maria: “Tu concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Quella vita che è Gesù, non l’ha inventata Maria: lei può solo accoglierla e, una volta accolta, farla crescere e poi darla alla luce. Ma viene dall’alto quella vita: “Lo Spirito santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo…”. Maria ha fatto la cosa più grande e più bella che una creatura può fare: mettere tutta se stessa a disposizione di Dio. Gli ha permesso di agire davvero da protagonista.
E perché mai Dio ci tiene così tanto a fare la parte del protagonista? Per ambizione? Presunzione? Ha forse bisogno Dio di star sopra tutti, d’essere ammirato, applaudito? Sarebbe un povero dio in tal caso… No, Dio è infinitamente lontano da queste piccinerie.
La ragione è un’altra. Se lui ha modo di agire da protagonista, allora noi siamo fortunati, perché abbiamo probabilità di ricevere tanto: molto più di quello che riusciamo a immaginare.
Se invece i protagonisti siamo noi, è inevitabile: per bene che vada ognuno fa quello che può, ma con tanti limiti. E la salvezza – quel dono che è specialità esclusiva di Dio – non riusciremmo comunque mai a costruircela. Con la delusione, altrettanto inevitabile, di aver sprecato tempo, energie (e denaro…) per niente. No, meglio che sia il Signore a fare la parte del protagonista. Fissiamocela bene nel cuore questa conclusione: non pretendiamo di prepararci il Natale che piace a noi. Preoccupiamoci piuttosto di preparare noi stessi al Natale che piace a Dio, perché è lui che ce lo donerà.
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