Il mondo in subbuglio chiede speranza

In questi anni l’Ue è riuscita ad affrontare unita le grandi crisi che ci hanno colpito, come il Covid © foto Gianni Zotta

“Pellegrini di speranza” è il motto del Giubileo 2025. Frase significativa che esprime la volontà di un lungo viaggio di noi tutti attraverso un mondo in subbuglio.

Speranza che non può essere mai abbandonata, neppure quando i fatti sembrano dirci il contrario. Ed in effetti se guardiamo all’anno appena trascorso gli aspetti negativi sembrano prevalere.

Stiamo entrando nel terzo anno di guerra fra Russia e Ucraina; nel Medio Oriente le stragi continuano malgrado i numerosissimi tentativi negoziali di tregua; il rapido e inaspettato crollo del sanguinario regime di Bashar al-Assad in Siria attende ancora segnali concreti di pacificazione all’interno del paese e all’esterno con gli intriganti vicini (Turchia e Iran); continua la guerra civile nel Sudan e nel lontano Myanmar. Assistiamo ad oltre 50 situazioni conflittuali nel mondo. Insomma, siamo ancora nel pieno della terza guerra mondiale a pezzi tanto drammaticamente denunciata da papa Bergoglio.

In questo mondo complesso, ma pur sempre interconnesso, la nostra Unione europea dovrebbe assumersi la responsabilità di affrontare gran parte dei nodi che minano le relazioni internazionali. Malgrado tutto, l’UE costituisce ancora oggi un esempio di integrazione regionale. Integrazione che è riuscita a sopravvivere al generale indebolimento delle istituzioni multilaterali a cominciare dalle Nazioni Unite. In fondo, in questi ultimi anni l’Unione è riuscita ad affrontare unita le grandi crisi che ci hanno colpito. Dalla lotta contro il Covid alla ripresa dell’economia continentale attraverso il Next Generation Eu e l’indebitamento (Eurobond) sui mercati internazionali. Una prima volta assoluta. Una notevole unità, malgrado alcuni mal di pancia, è stata mantenuta anche sul sostegno finanziario e addirittura militare all’Ucraina: nel complesso l’UE ha perfino superato gli Usa nella quantità di risorse, materiali e monetarie, trasferite a Kyiv.

Sarà così anche nel 2025? Lo sapremo abbastanza presto, dopo il 20 gennaio, con l’insediamento ufficiale della nuova amministrazione americana. Sarà quello un test decisivo per comprendere la rotta che l’UE dovrà prendere. Il primo ostacolo sarà la risposta che Bruxelles riuscirà a dare alla ventilata minaccia di Trump sull’aumento dei dazi nei confronti di alcuni paesi europei. In un periodo di indebolimento generale dell’economia europea e addirittura di una crescente difficoltà della politica industriale tedesca che fa da volano per molti dei partner comunitari, il vero rischio è di dovere affrontare un aumento di tariffe differenziate paese per paese. È il tanto temuto “divide ed impera” che la nuova amministrazione Usa sembra prediligere. Se da Bruxelles non dovesse arrivare una risposta unitaria allora sarebbero davvero grandi guai per l’intera Europa.

A farci sperare che alla fine prevalga una decisione comune sia nei confronti di Trump che del conflitto Russo/Ucraino è la valutazione complessivamente positiva dei nuovi responsabili delle istituzioni comunitarie, nominati al termine di sei lunghi mesi di trattative dopo le elezioni del Parlamento europeo. In cima alla piramide decisionale comunitaria si è collocato Antònio Costa ex-primo ministro portoghese, politico di lungo corso e molto stimato dai suoi colleghi nazionali. Costa è infatti il presidente del Consiglio europeo, l’organo da cui passano tutte le principali decisioni dell’UE e nell’ambito del quale è possibile esercitare il diritto di veto. Ostacolo tremendo soprattutto di fronte a paesi come l’Ungheria che della minaccia di utilizzare quest’arma si è fatta scudo nelle occasioni più delicate, come l’aiuto militare a Kyiv. Sembra che Costa sia invece in ottimi rapporti con Orbàn e che ritenga di poterlo portare dalle parti di Bruxelles sfruttandone il senso pratico sui vari dossier.

La seconda grande novità viene dalla nuova Alto Rappresentante, il ministro degli esteri dell’UE, la ex-premier estone Kaja Kallas, persona di grande esperienza politica e, in quanto rappresentante dei paesi baltici, anche particolarmente sensibile e allarmata dal ruolo della Russia nello scenario europeo. Assieme al nuovo Segretario Generale della Nato, l’ex-primo ministro olandese Mark Rutte, si formerà probabilmente una coppia di leader nel campo della sicurezza e della difesa europea che riuscirà a rassicurare Volodymyr Zelensky nella transizione dall’amministrazione Biden a quella di Trump. In effetti Mark Rutte è stato anche in buoni rapporti con il Trump del primo mandato, avendo negoziato con lui nel 2018 la permanenza degli Usa nella Nato di fronte alle rimostranze dell’allora presidente americano sullo scarso contributo finanziario degli europei alle spese dell’alleanza atlantica.

Infine, a dare solidità al quadro va tenuta in debito conto la rieletta Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che è riuscita a costruire un collegio di commissari a sua immagine e somiglianza. In effetti sia la scelta delle persone che la distribuzione delle competenze richiedono alla fine la regia della Presidente. La von der Leyen è uscita quindi estremamente rafforzata. Ne è stato esempio eclatante la sua decisione di firmare il trattato di libero scambio UE/Mercosur che costituirà la più grande area commerciale del mondo. E ciò malgrado la dichiarata opposizione di Emmanuel Macron e in parte anche della nostra leader Meloni. Ma sulla politica commerciale vige il voto a maggioranza qualificata e quindi Bruxelles ha finalmente deciso per il sì. È questo un buon segnale ed è quindi una (per quanto debole) speranza che di fronte all’assedio americano e russo, alla fine l’UE trovi la forza non solo di sopravvivere, ma di agire come interlocutore riconosciuto e credibile.

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