Il limite della guerra

Dopo i tragici fatti di Parigi risulta francamente difficile avere una visione oggettiva su American Sniper, l’ultimo film di Clint Eastwood che racconta il dramma della vita di un cecchino americano in Iraq.

Chris Kyle, il protagonista del film, è un cowboy texano che monta tori e cavalli, è dunque un “americano doc”, credente e tutto d'un pezzo, che vuole proteggere il suo Paese con le armi, anche se è consapevole che “fermare un cuore umano è una cosa pesante”.

Così, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, Kyle si arruola nei Navy Seals e parte per la guerra in Iraq dove diventa un tiratore con il compito di proteggere e difendere “le pecore dai lupi”, come gli diceva suo padre da piccolo. E sarà proprio lì in Iraq che diventa una leggenda, arrivando a uccidere 160 uomini.

Così, però, entra in un vortice da cui rischia di non uscire più. Del resto la guerra non risparmia nessuno, nemmeno gli eroi buoni o presunti tali, perché la guerra, anche quella inevitabile e anche quella di difesa – per non parlare di quella “giusta” o “intelligente” – porta sempre ad una tremenda disumanizzazione.

Violenza, solitudine, disperazione, assurdità, fanatismo, vendetta; la guerra si nutre di tutto questo e insieme lo amplifica. È come la rete elettrificata a cui i ragazzini si attaccavano per gioco e non riuscivano a staccarsi, come afferma Marc il compagno di Kyle, che ha già compiuto il percorso che Chris ha ancora da fare.

Ma qual è il punto di non ritorno, il momento in cui anche la “guerra giusta” diventa appunto ingiusta? Quale è il momento di rottura e di crisi?

Clint Eastwood lo dice chiaramente: il limite da non superare è premere il grilletto. Se un uomo preme il grilletto, ecco, in quel momento oltrepassa un limite da cui non si può che tornare se non devastati nel corpo e nell’anima.

E Kyle lo preme il grilletto, uccidendo per la prima volta un bambino e una donna: questo sarà il suo inizio, il suo battesimo, ma anche la sua fine, la sua condanna. E quando, grazie all’amorevole e paziente moglie riuscirà a recuperare l’umanità perduta, morirà per mano di un reduce che stava aiutando a sua volta.

Verrà celebrato con un funerale che lo raffigura, più che come eroe o leggenda, come una vittima di tutte le guerre.

Certo anche American Sniper, come tutti gli epos antichi e moderni, esalta la bellezza della guerra: il coraggio, i corpi giovani dei soldati, le armature, i duelli. Ma considerarlo un film che inneggia alla guerra sarebbe riduttivo e superficiale, perché proprio in quell’ultimo funerale dolente, il film si rivela come un umanissimo monumento ai caduti.

Più che risposte, quindi, Clint Eastwood con questo nuovo capitolo sulla guerra, tratto dall'autobiografia del vero Chris Kyle (American sniper. Autobiografia del cecchino più letale della storia americana Mondadori 2014), ci ributta dei punti di domanda. Enormi e tragicamente attuali.

vitaTrentina

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