È con l’immagine di un bambino che sogna di realizzare il rigore decisivo per vincere un Mondiale che si apre “Il Divin Codino”, il biopic su Roberto Baggio diretto da Letizia Lamartire. È lui, il fuoriclasse che nella sua carriera è riuscito a mettere in bacheca anche il Pallone d’oro, quel bambino fermo sul dischetto, lo stesso che con cura maniacale sistema con la mano pochi istanti prima di calciare alle stelle il maledetto, ultimo calcio di rigore del Mondiale 1994 contro il Brasile.
Dagli USA ai mondiali di Corea e Giappone. È il 2002 e Baggio viene escluso da Giovanni Trapattoni, il “Trap”, dalla lista dei convocati, nonostante un miracoloso recupero dalla rottura del legamento crociato del ginocchio sinistro. È suo padre Florindo, interpretato da Andrea Pennacchi, che lo fa riflettere: “Che importano i mondiali. Tu hai comunque la gente che ti vuole bene”. È questa la vera essenza del lungometraggio che ripercorre la vita del Divin Codino, intrecciata fin da giovanissimo alla fede buddista, scegliendo di concentrarsi soltanto su alcuni momenti della sua carriera calcistica: dagli esordi con il Lanerossi Vicenza, al passaggio alla Fiorentina, fino agli ultimi, esaltanti anni da capitano del Brescia, guidato dal quel “secondo padre” che Roberto trova in Carletto Mazzone: “Passatela sempre a Baggio, che poi ci pensa lui”, dice in una scena il mister (interpretato da Martufello), uno dei pochi capaci di lasciare al talento di Caldogno, pur a fine carriera, la libertà assoluta, a lungo ingabbiata da schemi e tattiche di un calcio in frenetica evoluzione.
Mancano all’appello, è vero, i tanti altri colori delle maglie indossate dal 10 nazionale, non manca invece l’azzurro e quella “ossessione mondiale” che – assieme al delicato rapporto con il padre, scomparso lo scorso agosto – fa da filo conduttore a tutto il film, arrivando perfino a privare il campione del suo riposo notturno. “Non ho mai calciato un rigore alto”, dice Roberto alla moglie, durante una notte insonne, ricordando quella sfortunata esecuzione a conclusione di una finale alla quale Baggio ci aveva portato praticamente da solo: tanti i gol arrivati tutti nella fase finale “riprodotti” dal bravo attore abruzzese Andrea Arcangeli riuscito, grazie al lungo lavoro svolto a fianco del campione, a rendere credibile la sua interpretazione che va ben oltre a una piatta imitazione dei movimenti.
Il film, prodotto da Netflix in collaborazione con Mediaset, è girato anche in Trentino, anche se il nostro territorio emerge ben poco dalle riprese: una “chicca” che non passa certo inosservata a chi da giovane lo ha calpestato, è però il prato verde del campetto dietro l’oratorio di San Giuseppe a Trento. Ben riconoscibile anche il centro sportivo di Terlago che vede un Baggio in maglia viola, impegnato nel recupero dal primo dei tanti gravi infortuni che hanno costellato la sua carriera terminata il 16 maggio 2004 con l’indimenticabile passerella di San Siro.
Un omaggio, prima ancora che al calciatore, all’uomo – fragile e gladiatore insieme – che non si è lasciato scoraggiare dalle difficoltà. E che anche senza realizzare il sogno suo e di un’intera nazione è comunque ricordato ancora oggi in tutta Italia con affetto dai tifosi. Come racconta l’ultima, commovente scena del film, accompagnata dalle note di Diodato.
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