Al Trento Film Festival alcuni documentari di forte impatto sociale e anche politico
Due anni dopo l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy il fratello Robert decise di salire una remota montagna dello Yukon alla quale il governo canadese aveva dato il nome del presidente Usa ucciso a Dallas. Era il 1965 e quell’ascesa fu guidata da Jim Whittaker, il primo americano a scalare l’Everest che poi divenne uno degli uomini più vicini al candidato presidente democratico prima che questo venisse a sua volta ammazzato nel 1968.
A cinquant’anni di distanza, i figli di Whittaker, uno giovane alpinista, l’altro scapestrato manager musicale convertito alla causa ambientalista, insieme a Chris, figlio di Bob Kennedy, ritentano di arrivare ai 4200 metri della vetta. Non ce la faranno. La storia, passato e presente, è raccontata da “Return to Mount Kennedy” dell’americano Eric Becker, in concorso alla 67esima edizione del Trento Film Festival che sabato 4 maggio proclamerà i vincitori.
“Si imbarcano in quella spedizione per celebrare il legame speciale che unisce le due famiglie – sottolinea il regista che, in altri suoi documentari, si è occupato di giustizia sociale, ambiente e diritti umani – Il doc è ricco di brani strumentali inediti di Eddie Vedder dei Pearl Jam, filmati e foto mai visti primi di Robert Kennedy. Il documentario intreccia politica, alpinismo, diritti umani ed ecologia”. Al Festival numero 67 sono presenti 127 film tra documentari, lungometraggi, corti e classici restaurati, suddivisi in diverse sezioni. “La selezione di quest’anno – riflette la direttrice Luana Bisesti – ci racconta le montagne come sensibili punte di iceberg del pianeta Terra, nell’anno in cui si è risvegliata la coscienza delle giovani generazioni per il riscaldamento globale e i rischi ambientali”.
Tra i doc in concorso anche “Il confine recintato” dell’austriaco Nikolaus Geyrhalter su un tema di stretta attualità, quello delle migrazioni. Nel 2016 il governo austriaco annunciò di voler realizzare una barriera al passo del Brennero per fermare il flusso dei migranti che risaliva l’Italia per dirigersi a nord. Infatti, grazie ai 6 miliardi di euro che l’Unione europea aveva “regalato” alla Turchia perché si tenesse dentro i propri confini questa massa di disperati, la rotta balcanica risultava chiusa e Vienna temeva che, arrivando da sud, i migranti invadessero il Paese d’Oltrebrennero. Non ci fu nessuna escalation e i reticolati rimasero nei container.
Ne emerge uno spaccato d’umanità di una popolazione di confine forte delle proprie tradizioni ma a contatto e immersa, per geografia e storia, nel passaggio di genti le più diverse. Un ritratto complesso, sfaccettato, in massima parte aperto verso il migrante, pur con gradazioni diverse e parecchi distinguo. Un quadro ben diverso dalle semplificazioni di quella politica, che va per la maggiore, che rinfocola paure e timori verso l’”altro”.
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