A Religion Today il racconto dell’originale serie che ha documentato un’avventura interiore
Un tenace desiderio di riscatto e di libertà, alla ricerca di una vita serena e onesta. È ciò che spinge Maria ad affrontare un cammino di 900 chilometri insieme ad Alessandro, Francesco, Omar, Matteo e Kekko, scelti per partecipare ad un innovativo programma di esecuzione esterna della pena, e riassume la volontà del gruppo di tornare sulla retta via dimostrando prima di tutto a se stessi che la rinascita è possibile anche quando sembra non esserci via di uscita. Ne hanno parlato Francesco Dinoi e Francesco Tafuno, due dei sei protagonisti di “Boez-Andiamo via”, durante l’incontro promosso dal Centro per le Scienze Religiose (FBK-ISR) e Religion Today Film Festival lunedì 7 ottobre nella sala conferenze di Fbk in un incontro dedicato alle contaminazioni tra religione e carcere, lette attraverso una nuova serialità televisiva. La tematica della missione, al centro del RTF 2019, è stata approfondita nel suo rapporto con la rieducazione, obiettivo, spesso disatteso, dell’istituzione carceraria, e con i benefici, sperimentati già a partire dagli anni 90 in Belgio e poi in altri Paesi europei, del prevedere come pena alternativa al carcere un viaggio a piedi, dispositivo di recupero che abbatte le percentuali di recidiva. La docu-serie Rai in 10 puntate, scritta da Roberta Cortella e Paola Pannicelli, con la collaborazione del Ministero della Giustizia, andata in onda dal 2 al 13 settembre su Rai 3 (disponibile su RaiPlay) racconta proprio il cammino-pellegrinaggio compiuto lungo l’antica Via Francigena dal gruppo di giovani insieme all’educatrice di comunità Ilaria D’Appollonio e alla guida escursionistica Marco Loperfido. “L’esperienza del cammino di gruppo ha favorito il nascere di relazioni significative e di cambiamenti: ognuno ha rimesso insieme parti di sé slegate, come pezzi di un puzzle che pian piano si ricompone”, ha commentato D’Appollonio. Un’avventura fisica e interiore durata 60 giorni, che attraverso la condivisione di passi e pensieri da Roma a Santa Maria di Leuca, in Puglia, li ha messi a contatto con l’emergere di traumi del passato, emozioni, aspirazioni, speranze, spostando il baricentro dai ricordi dolorosi di una vita trascorsa in strada e dietro le sbarre verso una nuova esistenza. “Il carcere – ha detto Francesco – ti priva di tutto, del sonno, della fiducia, delle relazioni. Durante il viaggio ne ho capito il valore, trovando la motivazione per provare a cambiare”. “Ho avuto un’infanzia difficile, un padre-padrone, dormivo per strada, ero schiavo del denaro – ha raccontato Kekko -, poi ho avuto l’opportunità di andare in comunità e di fare questo cammino e mi sento un ragazzo migliore”. Nel delineare le differenze tra la dimensione del carcere e del pellegrinaggio, l’antropologo Pietro Vereni (Università di Roma Tor Vergata) ha evidenziato quanto la prima implichi immobilità, diffidenza, sospetto, prevedibilità e totale azzeramento di quelle relazioni sociali che invece il cammino e la condivisione rimettono in moto, spingendo a conoscersi, a fidarsi degli altri, affrontando l’ignoto con un obiettivo che dà senso: “Il carcere non permette il reinserimento sociale ed è un’istituzione desacralizzante: il detenuto è sconnesso dalla sua storia e da qualsiasi trascendenza, ridotto alla sua fisicità. La strada della malavita costringe ad un ruolo, quella del pellegrinaggio consente l’autenticità”. Il progetto, con la supervisione scientifica di Tito Baldini (Società Psicoanalitica Italiana), si rivela esperimento rivoluzionario dal forte impatto sociale, e per Antonia Menghini Garante dei detenuti, “un’alternativa vincente al carcere, che permette il confronto tra i membri del gruppo e responsabilizza, dando alla pena un volto umano”. Il titolo della serie, “Boez” è il nome con il quale si firmava come writer il figlio di Paola Pannicelli, prematuramente scomparso: “Questo progetto è un far luce sul mondo degli adolescenti e sulle sofferenze che vivono e la realizzazione di questa serie televisiva rappresenta per me la sua resurrezione”. Una storia di speranza e rinascita che al Giffoni Festival e sui social ha suscitato reazioni entusiaste, concretizzando l’auspicio dei registi Roberta Cortella e Marco Leopardi, intervenuti in collegamento skype al termine dell’incontro, che “la serie possa aprire una finestra sul mondo di questi ragazzi al limite e, senza buonismo o lieti fini a tutti i costi ma attraverso la pura e semplice realtà, possa diffondere il messaggio costruttivo del “tutto è possibile”.
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