I fatti risalgono agli anni Sessanta del Novecento. Siamo ora nel 2021. La distanza di tempo tra quei fatti e l’atto di clemenza annunciato la settimana scorsa a favore di Heinrich Oberleiter la dice lunga sulla difficoltà di chiudere un capitolo della storia altoatesina, nazionale e europea che forse non si potrà mai chiudere davvero, ma solo seppellire man mano con i suoi protagonisti.
Il Quirinale ha comunicato che a Oberleiter “è stata concessa la grazia relativa alla pena dell’ergastolo, irrogata per la partecipazione ad atti terroristici compiuti in Alto Adige tra il 1966 e il 1967”. Prosegue la comunicazione: “Nell’adottare il provvedimento il Presidente della Repubblica ha tenuto conto del fatto che i suoi atti criminosi non hanno provocato decessi, del ravvedimento del condannato che, in una dichiarazione allegata alla domanda di grazia presentata dai figli, ha espresso ripudio della violenza e forte rammarico per le vittime di tutti gli attentati di quel periodo e per il dolore arrecato alle loro famiglie, della sua età, del parere favorevole del Procuratore Generale competente e del perdono concesso dalle due persone offese che è stato possibile interpellare nel corso dell’istruttoria, nonché della condizione di generale concordia da tanto tempo raggiunta a distanza da quella stagione”.
Sul piano personale, se il ripudio della violenza nell’azione politica è autentico, se il rammarico per la sofferenza delle vittime è sincero, se c’è stato il perdono da parte delle persone offese, il provvedimento del presidente Sergio Mattarella chiude davvero un capitolo. Lo chiude nella storia delle persone coinvolte che sul piano umano si guardano negli occhi – se è davvero così – e rinunciano a sentimenti di odio, di rivalsa e di vendetta.
Del resto è impossibile dare un giudizio su uomini e donne di cui non si conosce nulla se non quanto riportato dai giornali e dagli atti giudiziari. L’augurio è per tutti quello di proseguire (tutti noi proprio) un autentico cammino di ascolto reciproco e di riconciliazione. Con amore, nella verità.
Il piano umano non va però confuso con quello politico. Il significato politico, diplomatico a anche culturale di questo gesto è molto meno univoco (non nelle intenzioni di Mattarella, ma nel contesto nel quale il provvedimento va a cadere). Si può condividere il commento del Presidente della Provincia di Bolzano Arno Kompatscher: “Con la concessione della grazia a Heinrich Oberleiter è stato compiuto un positivo passo in avanti, che può essere utile per superare la sofferenza che è stata, pur senza dimenticare quello che è successo”. Certo. Ma nascono subito delle domande. Quale sofferenza? Senza dimenticare cosa? Passo avanti, in quale direzione?
La grazia non è un’assoluzione postuma, ma è la conferma della condanna dei comportamenti, non necessariamente della persona, espressione della convinzione dello Stato che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (art. 27 della Costituzione) e che “non è ammessa la pena di morte”, nemmeno per le persone che hanno ucciso o che hanno partecipato a azioni e movimenti che hanno avuto come effetto la morte di altre persone.
Possiamo riflettere anche sulla circostanza che in tema di terrorismo (comunque lo si voglia definire) altri Paesi abbiano dato in questi decenni protezione e asilo a persone condannate in Italia per atti di violenza politica. Francia, Germania, Austria. E che la concessione di grazia da parte dello Stato italiano sia stata oggetto di trattativa sul piano dei rapporti diplomatici (non ultimi gli interventi del Presidente austriaco Alexander van der Bellen).
Interessante notare come fino ad oggi i protagonisti della stagione degli attentati – e lo stesso Oberleiter ancora in un’intervista di questi giorni – sottolineino di essersi sentiti traditi dalla Chiesa locale e in particolare dal vescovo Joseph Gargitter che condannò senza mezzi termini l’associazione della violenza politica al Sacro Cuore, nel giugno del 1961.
Gargitter ebbe sempre parole chiare rispetto all’uso della violenza per il raggiungimento di obiettivi politici: “Devo insistere presso tutti i cattolici della diocesi e in modo particolare presso i giovani, non essere lecito a nessun cristiano di entrare a far parte di movimenti di azione che intendono far uso di illeciti mezzi di violenza”, scrisse nella lettera pastorale del 1960. Allo stesso modo, nel 1961, in seguito ai maltrattamenti subiti in carcere da presunti terroristi, il vescovo si rivolgeva “alle autorità responsabili dell’ordine pubblico”, perché i detenuti abbiano “un trattamento che corrisponda alla dignità e ai diritti della persona umana…” Gli appelli contro la violenza si susseguirono negli anni successivi, firmati, a partire dal 1963, insieme al nuovo vescovo di Trento mons. Gottardi.
Pensando alla storia dell’Alto Adige e a quella di tante terre nelle quali i conflitti si affrontano con gli strumenti dell’odio e della morte, dobbiamo dire che un vero positivo passo in avanti sarà fatto quando si sarà detto in modo chiaro e inequivocabile che la violenza (di Stato, di mafia, di organizzazioni terroristiche, di strutture di potere, anche di settori devianti della Chiesa) non è mai ammessa come mezzo di risoluzione delle controversie in un contesto democratico.
Lascia una recensione