Germania al voto, tra crisi e sirene del trumpismo

Alla Cdu e al suo leader Friedrich Merz il compito di provare ad arginare l’ascesa dell’estrema destra foto Fb CDU

Ancora non abbiamo digerito del tutto le elezioni americane che già si profilano all’orizzonte quelle anticipate del 23 febbraio in Germania. Sembrano eventi lontani nel tempo e geograficamente agli antipodi, ma in realtà costituiscono entrambi le facce della stessa medaglia. Esse infatti rappresentano, da una parte il futuro dei rapporti fra Unione europea e Stati Unitie dall’altra, la capacità dell’UE di resistere agli assalti del trumpismo e di mantenere, se non approfondire, la propria unità. Ma prima di tutto le prossime elezioni in Germania ci diranno quale sarà il futuro politico di questo paese. Paese che rimane chiave nei confronti dell’intera Europa. Oggi a preoccuparci sono due fatti concomitanti.

Il primo è la crisi sistemica dell’economia tedesca: quasi il 20% delle imprese tedesche lavora a ritmi ridotti e almeno 1/3 delle grandi industrie, soprattutto nel comparto automobilistico, hanno avviato licenziamenti e chiusura di impianti. L’arrivo di Trump, che, come è noto, teme le auto tedesche che inondano il mercato americano, non fa che rendere ancora più pessimistiche le prospettive dell’industria tedesca nell’eventualità di forti dazi statunitensi. Per un’economia ampiamente basata sull’export la sola menzione di dazi o di aiuti di stato alle industrie concorrenti (vedi il caso Cina) è una minaccia rovinosa.

Il secondo fatto che rischia di indebolire il “modello” politico tedesco è l’impetuosa crescita sia nei Laender dell’Est ma anche a livello nazionale delle forze estremiste di destra, in particolare del partito “neo nazista” AfD di Alice Weidel. Già la destra la fa da padrona in Austria, Italia, Ungheria e Slovacchia, tanto per citare i paesi dell’UE che più si rapportano con la Germania, che uno scivolamento tedesco ancora maggiore verso quell’area estrema desta non poche preoccupazioni a Bruxelles e nelle altre capitali europee e non solo. È quindi comprensibile lo scandalo suscitato dagli ormai ripetuti interventi in totale sostegno dell’AfD e della sua leader Alice Weidel da parte di Elon Musk, il supertrumpiano consulente e collaboratore del nuovo presidente americano. I suoi sfacciati interventi nella campagna elettorale di un paese “amico” fanno impallidire le accuse di interferenze, temute ma non sempre dimostrate, della Russia di Vladimir Putin nelle elezioni dei paesi occidentali, Germania compresa. È quindi abbastanza evidente come per Berlino il prossimo appuntamento elettorale si preannunci come decisivo per il ruolo tedesco in Europa nei prossimi anni. A parte l’AfD che rappresenta la grande novità e un’imminente minaccia, il resto dello scenario partitico tedesco rimane sostanzialmente invariato con i Verdi e i Liberali al faticoso inseguimento delle due tradizionali forze trainanti, i democratico-conservatori della CDU/CSU e i socialdemocratici della SPD. Questi ultimi, in realtà, scontano l’inadeguatezza del loro leader-cancelliere Olav Scholz dalle cui dimissioni sono nate le elezioni anticipate. Tutta l’attenzione si concentra quindi sulla CDU e sul suo leader Friedrich Merz, figura non certo nuova essendo stato già anni fa un acerrimo nemico e concorrente di Angela Merkel, cui oggi rimprovera sia gli accordi sull’energia con Vladimir Putin che l’apertura nel 2015 ad oltre un milione di immigrati siriani in fuga dalla repressione di Bashar al-Assad. In effetti ancora oggi a dominare la campagna elettorale è il tema dell’immigrazione, tema su cui l’AfD ha creato la propria forza nel paese.

Per non farsi scavalcare a destra sia i socialdemocratici di Scholz sia, a maggior ragione, i conservatori di Merz hanno elaborato proposte volte a bloccare l’immigrazione alle frontiere e a rendere particolarmente difficile la richiesta di asilo. A soffiare sul fuoco è ancora una volta Elon Musk che proprio nell’80° anniversario dell’olocausto ha invitato i tedeschi (e l’AfD) a “liberarsi delle colpe del passato” e a combattere per preservare la cultura e la sovranità tedesca.

Al di là della indecente provocazione, ciò che colpisce è come il tema dell’immigrazione sia di fatto un argomento cruciale, come dimostra la vittoria di Trump negli Usa e le sue draconiane misure di deportazione dei clandestini al di fuori dei confini americani. Un allarme per un’Unione alle prese da anni con questo argomento e incapace di darsi regole e politiche comuni, lasciando a ciascun paese membro l’onere di risolvere (o cercare di risolvere) per proprio contro una questione chiaramente strutturale e di lungo periodo. Ma certo per il futuro cancelliere tedesco le questioni da affrontare saranno molte altre, tutte enormemente difficili e di grande responsabilità.

Friedrich Merz ha cercato di delineare il suo programma interno ed estero, ad iniziare dalla ripresa delle competitività industriale tedesca ed europea, magari aprendo uno spiraglio ad eventuali eurobond e a modificare la previsione costituzionale tedesca sul pareggio obbligatorio del bilancio. Stesso discorso sul piano della difesa dove Berlino dovrà superare sia i vincoli costituzionali che di bilancio per operare pienamente anche nel settore della difesa, la cui prospettiva dovrebbe essere tuttavia europea. Di qui la ricerca di paesi alleati con cui avviare concretamente l’abbozzo di una difesa comune: il cosiddetto “formato di Varsavia”, composto da Polonia, Germania, Francia (i tre del gruppo di Weimar) con l’aggiunta di Gran Bretagna, Italia e Spagna. Un nucleo di paesi intorno a Berlino che dovrà allo stesso tempo tenere rapporti equilibrati con Washington, sostenere l’adesione dell’Ucraina all’UE e contenere l’aggressività di Mosca.

Insomma, quelle tedesche saranno elezioni per noi ben più importanti delle vicende americane, anche se le due rimangono inevitabilmente legate fra di loro.

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