I lettura: Giobbe 38,1.8-11;
II lettura: 2Corinzi 5,14-17;
Vangelo: Marco 4,35-41
Il mare, per la Bibbia, non è un posto dove andare in vacanze: è la metafora della vita. Soprattutto quando è in burrasca e le onde riempiono d’acqua la barca, per quanto bravi siano il timoniere e coloro che remano, si capisce come il mare possa diventare metafora, espressione della vita.
Noi parliamo di contrarietà, di ostacoli, di accidenti… ma la Bibbia non ama le astrazioni, è concreta nel suo linguaggio: mare in burrasca, e noi siamo coloro che lo devono attraversare.
Tutti, in realtà, lo devono attraversare: non ci sono soltanto per alcuni le burrasche; credenti o atei che siamo, esse non guardano in faccia nessuno.
“Passiamo all’altra riva” ordina Gesù al suo gruppo di discepoli: erano in dodici, tredici con lui; su una barca – quella di Pietro probabilmente – ci stavano tutti. Ma non erano soli: “c’erano anche altre barche” che stavano facendo quella stessa traversata: le burrasche, quando vengono, vengono per tutti.
Particolare un po’ strano è la constatazione che fa l’evangelista Marco nel brano della prossima domenica: “Lasciata la folla, lo presero con sé così com’era, sulla barca…”. Sembra quasi che Gesù abbia chiesto loro un passaggio e gli abbiano risposto: “Ma sì, dai… vieni anche tu: ci stai!”.
In effetti, se lo son portati dietro… come un peso morto, perché – una volta salito su quella barca – Gesù crolla dal sonno e dorme alla grande. Doveva essere davvero stanco se non s’accorse nemmeno della tempesta, del vento e delle onde che gettavano l’acqua dentro la barca. L’evangelista, quasi con ironia, nota che se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Indisturbato e tranquillo, in una posizione a dir poco signorile. Gesù è uno che, anche quando c’è da preoccuparsi seriamente o addirittura da disperare, conserva un atteggiamento indisturbato e tranquillo, tanto da suscitare la reazione indispettita dei suoi discepoli, i quali prima avranno senz’altro mugugnato tra di loro, ma poi si decisero a svegliarlo di brutto: “Maestro, ma insomma, non t’importa che moriamo?”.
Il seguito è noto: ordina al mare e al vento di calmarsi – cosa che accade infatti – ma poi rimprovera i discepoli: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”.
Per i discepoli di Cristo paura e mancanza di fede vanno a braccetto. Anzi, è la mancanza di fede a tirarsi dietro la paura con la quale fare comunella.
Mancanza di Fede non vuol dire che la Fede è assente; se siamo cristiani è da supporre che un po’ di fede ce l’abbiamo nel cuore. Ma ce l’abbiamo mescolata con tante altre cose (interessi, ansie, preoccupazioni, hobby, progetti…), al punto che alla fin fine, quando la si cerca, è come rovistare in un cassetto tra tante cianfrusaglie (e magari ci si chiede: Ma dove l’ho messa? Eppure era qui!…). La Fede.
I discepoli avevano preso Gesù con loro sulla barca, ma così, quasi per condiscendenza: “Sì, c’è posto: vieni!”. Non come il timoniere, quello che doveva dare la rotta. Non gli avevano detto: “Sali per primo e mettiti alla guida, perché se sorge la burrasca tu solo puoi fare qualcosa!” No, non gliel’avevano detto.
Si erano preoccupati di chissà quante cose prima di partire (e cose che sarebbero finite a fondo se Lui non avesse calmato quella tempesta con la sua autorità), ma di Lui, no: che ci fosse Lui a capo di quella traversata non se n’erano preoccupati affatto. Nessuno aveva chiesto: “C’è Gesù con noi?”. Qualcuno gli aveva semplicemente detto all’ultimo momento: “…ma sì, vieni che c’è posto…”.
A questo punto non credo siano necessarie ulteriori spiegazioni per chiarire cosa s’intende per “incredulità”. Vedere nella Fede un ingombro, qualcosa di accessorio nell’equipaggiamento della vita (da prendere con sé…se non c’è altro di meglio), è mancanza di Fede.
Gesù non è il personaggio megalomane che vuole davanti a sé un tappeto rosso per entrare nella nostra vita; no, è il salvatore potente che può dire al vento e al mare in burrasca: “Taci…Calmati!”.
Il segreto pertanto, e l’insegnamento che ce ne viene da questo vivacissimo fatto evangelico, è tanto chiaro da apparire perfino semplice: Sì, gridiamo pure a Gesù quando non sappiamo più dove sbattere la testa, svegliamolo pure se ci sembra addormentato… ma la cosa più saggia e più giusta da fare è un’altra, e viene prima: Gesù non è un passeggero qualsiasi, che prendiamo con noi alla pari di tante altre persone o cose, per affrontare quella traversata che è la vita. Gesù è il passeggero primo in assoluto, che non può mancare, perché è il timoniere, colui che indica la rotta da seguire. Prima di partire, per qualsiasi impresa, per qualsiasi iniziativa, dovremmo imparare a domandarci: c’è Gesù Cristo con noi? E pregarlo: “Signore, vieni, prendi il posto che ti spetta!”
Allora sì, ma solo allora potremo permetterci di non cedere alla paura, alla disperazione, anche se durante la traversata dovessero sorgere burrasche e tempeste.
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