Prima lettura: Ezechiele 37,12-14;;
Seconda lettura: Romani 8, 8-11;
Vangelo: Giovanni 11,1-45
Si potrà dire che non è molto allegro l’argomento del vangelo della prossima domenica. Infatti si parla di morte, di gente che piange per la scomparsa quasi improvvisa di un familiare, di un amico… Ma poi vi è il colpo di scena: il suo inaspettato, inatteso ritorno alla vita ad opera di Gesù. Però, a dire il vero, non si tratta di una risurrezione, ma solo di un ritorno alla vita.
Gesù invece è risorto. È uscito dal suo sepolcro vivo, ma vivo in un modo ben diverso da prima: nessun limite, nulla può ormai compromettere sua vita. Vivo per sempre.
La vicenda di Lazzaro è solo un richiamo, un anticipo a qualcosa di ben più grande che accadrà a Gesù e a tutti quelli che a Gesù si affidano nella Fede. La Fede! Ritengo di non sbagliare se dico che la nostra fede, al giorno d’oggi, è un po’ debole – a rischio di collasso – proprio di fronte a quell’esperienza estrema che è la morte. Certo, è tutt’altro che un’esperienza esaltante, soprattutto quando irrompe nel bel mezzo della vita. Anche le sorelle di Lazzaro, credenti, si ritrovarono a piangere per giorni il loro fratello (ce lo conferma il vangelo di questa Domenica). Anzi, Gesù stesso rimase scosso e pianse, pur sapendo che di lì a poco l’avrebbe riportato in vita; e se è vero che Gesù è il figlio di Dio, questa è la riprova che anche Dio trova profondamente ingiusta la nostra morte. Quindi, nulla di strano se la morte fa paura: è naturale che sia così.
Tuttavia al giorno d’oggi questa paura si trasforma spesso in angoscia, sconfina nella disperazione, per cui si preferisce semplicemente rimuovere l’idea della morte. Si sceglie di non pensarci affatto. Per secoli una delle preghiere più ripetute nella Chiesa era: “Liberaci, Signore, dalla morte repentina e improvvisa”. Perché era temuta più di ogni altra? Non lasciava il tempo per prepararsi, per mettere ordine nella propria vita. Oggi, invece, si sente dire spesso – anche da cristiani – che la morte più bella (o meno brutta) è quella improvvisa. E perché mai? Perché così si evita di soffrire e di far soffrire i propri cari.
Dietro questa opinione si nasconde una grande paura della sofferenza, del dolore. Ben vengano gli antidolorifici per tutte le evenienze (a cominciare dal semplice mal di testa), ma non dimentichiamo che il loro prezzo è molto alto: evitandoci di dover soffrire, indeboliscono in noi la capacità di sopportare, fino a farla scomparire del tutto.
Ma a parte questo, dietro l’opinione secondo cui la morte improvvisa è preferibile a quella preparata, vi è una mentalità a dir poco… pagana, se non nichilista (che è ancora peggio). Se è un cristiano a pensare così, allora può voler dire due cose: o quel cristiano non crede che oltre la soglia della morte cominci un’esistenza totalmente nuova e diversa, oppure semplicemente non crede in Dio, perché… come si può pensare di presentarsi a lui senza alcuna preparazione? Se perfino prima di uscire di casa ci si guarda nello specchio, forse che Dio è da meno della prima persona che s’incontra per strada? Come si può pensare che Dio darà una vita più bella di questa, se non ci si preoccupa di mettere ordine in questa, prima di riconsegnarla a lui che ce l’aveva data?
Ma lasciamo le considerazioni generiche e veniamo a noi: come la pensiamo a questo riguardo? Quanto è forte la nostra fede di fronte a quel fenomeno che chiamiamo morte? Oh, non è facile per nessuno portarne il peso. Marta, la sorella di Lazzaro, era credente: “Credo, Signore, che mio fratello risorgerà nell’ultimo giorno!”, ma quando si trovarono davanti a quel sepolcro e Gesù disse: “Togliete la pietra”, proprio Marta si oppose dicendo: “No, Signore, è già di quattro giorni: puzza ormai!”. Ma allora che fede era quella? Una fede astratta, un credere a parole che non impregnava più di tanto la vita, la mentalità.
No, non è facile avere una fede robusta di fronte alla morte, non viene da sé. Anche perché Dio ci dona sì la fede, ma il farla crescere e renderla robusta è compito nostro. E come si fa? Non avrebbe senso partecipare alla Messa se il vangelo non ci desse la risposta: “Io sono la risurrezione e la vita – afferma Gesù – chi crede in me, anche se muore, vivrà: chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”. Non ci sfugga il comune denominatore che lega tra loro queste brevi espressioni: “IO” (è Gesù che parla) … chi crede in ME… chiunque vive e crede in ME…”.
Cosa ne deduciamo? Che non è possibile guardare la morte da cristiani, pensare a un aldilà da cristiani, senza un legame forte, appassionato e sempre più stretto, con Gesù Cristo. Non è possibile. Noi cristiani non crediamo nella vita eterna, o nella risurrezione, allo stesso modo in cui altri credono nella reincarnazione… oppure nel nulla. Non ci accontentiamo di un’ipotesi, di un’idea diversa dalle altre. Noi crediamo in una persona che ci assicura: IO sono la risurrezione e la vita…: Gesù Cristo. Tutto il resto (come, quando, dove…) è corollario. Essenziale è affidarsi a lui con un legame vitale e forte. Un legame da irrobustire ad ogni Quaresima. Ad ogni Pasqua.
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