A 44 anni dall’evento e a 19 anni dal film Buongiorno, notte Marco Bellocchio torna sul rapimento Moro e lo fa con una serie tv che esce anche in sala cinematografica in due parti (il 18 maggio e il 9 giugno) per un totale di cinque ore e mezza di proiezione.
È evidente che il regista-icona del ’68 italiano, oggi 82enne, sente l’urgenza di rielaborare una fase storica e politica della Repubblica su cui non si è sufficientemente lavorato, e su una ferita che non è ancora guarita.
Lo fa, come sempre, da un punto di vista estremamente personale, quasi di proiezione psicanalitica che estende al Paese Italia e alla sua classe dominante, la percezione dell’ambito familiare che egli ha ampiamente esplorato ed espresso nella propria opera cinematografica.
Come avverte il titolo, in Esterno notte l’obiettivo non è puntato sul rapito ma sulla dirigenza democristiana e su quanti erano chiamati a intervenire e a decidere in qualche modo le sorti del presidente DC. In primis Cossiga, Andreotti, Zaccagnini. Sullo sfondo, Craxi e Berlinguer. Da un’altra parte il papa, Paolo VI.
Sui primi il giudizio è inappellabile e impietoso, fin dalla prima scena che riparte dalla conclusione del film precedente, e cioè da una immaginazione del regista che vuole Moro liberato e grato ai Brigatisti, ancorché sfinito dalla reclusione, e dalla visita al suo capezzale ospedaliero delle tre più alte cariche di governo e partito nonché ‘amici’, interessati non al suo stato di salute ma a quanto possa aver rivelato durante la detenzione. Un giudizio che viene ripreso nel corso della messa in scena operando sul profilo umano dei personaggi – quello politico è inesistente – che viene demolito: Cossiga, l’amico, è un marito frustrato e ossessionato da una moglie che lo ignora. Andreotti, l’alleato politico, è uno che si compensa con il gelato, che vomita all’annuncio del rapimento, che fa il fioretto di non toccare più il gelato fino alla fine della vicenda e poi non resiste alle caramelle.
Va meglio a Paolo VI, di cui si riconosce la partecipazione autentica alla tragedia, ma è il meglio che un ambiente decrepito sul fronte culturale, sociale e anche spirituale, come la Chiesa cattolica romana, possa esprimere. Il ricorso al cilicio riassume tutto quello che Bellocchio sente nei confronti della Chiesa, e non ha mai nascosto.
L’Italia che esce dal suo sguardo è un Paese altrettanto decrepito e malato nelle fibre più profonde, che non può che soccombere o essere spazzato via perché mummificato. L’unica energia vitale nel film è riservata ai BR e loro fiancheggiatori che al processo di Torino esplodono nel canto trionfale (in and over) dell’Internazionale Socialista.
La cosa curiosa, è che il colpo di grazia alla Repubblica, 15 anni più tardi, avverrà per mano di Craxi, l’unico a salvarsi in qualche modo nell’analisi di Bellocchio in quanto favorevole alla trattativa con i terroristi. Che dalla padella democristiana il Paese finirà nella brace berlusconiana (per il quale sempre Craxi va ringraziato). Che oggi, per paradossale che sia, perfino un Santoro si trova a rimpiangere Andreotti. Per non parlare dell’assoggettamento all’America…
Allora, non credo basterà la seconda parte del film tv a risolvere la partita, men che meno a guarire la ferita. C’è una ferita precedente, più profonda, e forse prima andrebbe curato l’occhio.
Ma Gifuni, nei panni mimetici di Moro, è semplicemente straordinario.
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