La buona notizia di un lunedì “storico” – aggettivo sempre più usato nelle ultime 24 ore – è il peso specifico degli ori conquistati da Jacobs e Tamberi nelle due discipline regine della regina degli sport, l’atletica. Il loro valore, opportunamente celebrato dopo i dieci-tredici minuti che “han cambiato lo sport italiano”, sta anche nel sorriso con cui Gianmarco è sceso in pedana e Marcell si è presentato ai blocchi di partenza: concentrati sì, ma già felici, stracontenti di essere lì dentro quello stadio per fare una gara, per affrontare una sfida nello sport che ha arricchito la loro vita di uomini, la loro crescita come persone, pur attraversata da cadute e fatiche.
Olimpiadi di Tokyo, il sogno a cinque cerchi e una nuova prospettiva
Questa dimensione giocosa, primitiva, genuinamente infantile, è quella che ogni sportivo ed ogni campione non dovrebbe mai perdere. Quella che tre settimane fa ha portato il ct Mancini a raccomandare ai suoi azzurri nel prepartita: “Pensate soprattutto a divertirvi…”.
Anche Tamberi fin dalla prima prova saltellava e scherzava come un bambino felice, così come Jacobs sorrideva alla telecamera nella carrellata sugli atleti ai blocchi. E la loro gioia bambina è esplosa poi incontenibile, spontanea, condivisa con i loro concorrenti, con i medagliati delle altre nazioni. Anche quando passa dai sacrifici, dalle delusioni e dagli insuccessi lo sport deve rimanere un gioco: un gioco impegnativo, un gioco di squadra, che ci educa e ci fa diventare tutti più grandi.
Anche quando non pesa come l’oro olimpico.
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