Un’antica e splendida villa sulle pendici dell’Etna abitata da una donna colpita da un grave lutto. Raggiunta da una ragazza che non conosce. Entrambe aspettano l’arrivo del figlio la prima, del fidanzato la seconda. Atteso, vanamente, Giuseppe (figlio e fidanzato), per la Pasqua, giorno nel quale in paese, come da tradizione, si svolge una grande processione.
L’attesa di Piero Messina, siciliano qui al suo esordio nel lungometraggio (ha partecipato, in concorso, alla recente Mostra di Venezia dove si è aggiudicato la menzione speciale del premio Signis per la sensibilità umana e spirituale), si ispira liberamente ad un dramma pirandelliano, La vita che ti diedi, dove il tema è quello dell’amore materno, di una persona cara ormai lontana da tempo. Al quale, in questo caso, si accompagna l’amour fou. Juliette Binoche (premi su premi per le sue interpretazioni che segnano una carriera ormai più che trentennale) è la madre (Anna). La francese Lou de Laâge, una sorpresa, già candidata al César, è la giovane Jeanne. Mano a mano il racconto si svela allo spettatore (anche fin troppo repentinamente, ed è uno dei punti deboli della “pellicola”), grazie al crescere di un rapporto intenso tra le due protagoniste femminili, ma carico, da parte della madre, di un non detto impronunciabile, di un’incapacità di riconoscere pienamente la realtà prima a se stessa per poi essere capace di rivelarla all’ospite inattesa (quanto veramente ignara? O forse, piuttosto, complice?). Fino a mentire, sprofondando nella voragine della propria solitudine. Juliette Binoche e Lou de Laâge misurano le parole, sottraggono alla recitazione ogni “movimento” inutile, lasciano agli sguardi riempire, con pienezza, lo schermo. Sarà il giorno di Pasqua, la grande processione in paese, a segnare, simbolicamente, per entrambe le protagoniste, la “resurrezione”, per quanto dolorosa, una possibile rinascita verso una nuova fase della vita, forse.
“Tutto nasce da un ricordo d’infanzia. – ha commentato il regista – E’ notte, le strade del mio paese sono invase di gente. A un certo punto accade che il simulacro portato in processione smetta d’essere una statua intagliata nel legno e diventi per tutti i presenti qualcosa di reale. E’ come se la profonda condivisione di un’esperienza avesse il potere di generare una diversa e apparentemente impossibile verità. Ed è quello che accade ad Anna e Jeanne che immaginano e cercano di proteggere una realtà la cui verità esiste solo perché da esse condivisa”.
L’attesa non convince. C’è un compiacimento nella regia, nella ricerca dell’inquadratura, che stride con la profondità del racconto, quasi soffocandolo. Un narcisismo stilistico accentuato (retaggio della collaborazione con Sorrentino?). Fin la colonna sonora pare uscire dalle corde del premio Oscar che però la “materia” sa governarla. Qui, invece, sfugge via ad ogni sequenza.
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