Don Sandro De Pretis, parroco agli antipodi

Don sandro De Pretis

Sono di nuovo in Papua Nuova Guinea, dopo due anni in Ciad, ma in un’altra diocesi (Alotau) e come sempre succede la situazione presenta delle caratteristiche che non conoscevo. Prima di tutto la parrocchia di Budoya è divisa su diverse isole ed è più difficile muoversi rispetto a quando ci sono strade e macchine, che su queste isole non esistono neanche. La Chiesa cattolica poi è da relativamente poco che è presente: è ancor vivo un uomo di 83 anni che ha donato il terreno per la missione! La maggioranza della gente appartiene alla “Chiesa unita” (un nome poco appropriato, dato che si è staccata dai Metodisti, staccatisi a loro volta dagli Anglicani), e a varie sette. Le relazioni con la Chiesa Unita sono oggi abbastanza buone, mentre gli altri sono più che altro dei fanatici.

Essere parroco implica, oltre alla pastorale normale, avere varie responsabilità riguardanti le scuole “cattoliche”. La priorità va ai dieci villaggi/comunità (in Italia le chiameremmo parrocchie) che posso visitare solo la domenica ogni due-tre mesi, anche perché la gente lavora duro per produrre il cibo che mangia. Inoltre non ho una barca: qui usano i dinghy, piccole imbarcazioni lunghe sei metri e col motore 40 cavalli fuori bordo.

Gli adulti, i giovani e perfino i bambini lavorano. Girano pochissimi soldi, quasi nessuno ha un telefonino, neanche di quelli più economici. I costi del telefono e di Internet sono stratosferici: anche l’equivalente di uno-due euro, che è una cifra che in genere non è disponibile. Pirateria e furti sono problemi insolubili, la polizia praticamente è costituita da qualche poliziotto per tutte le isole del distretto. La “soluzione” adottata è quella di inviare dalla capitale una “task force” che agisce con brutalità, al di sopra di qualsiasi legge. Il vescovo, mons. Santos, in settembre è stato denunciato da questa polizia speciale, avendo protestato dopo che avevano bruciato 19 case ad Alotau. La cosa incredibile è che le autorità considerano normale questa violenza e il vescovo forse sarà condannato perché ha fatto conoscere gli abusi.

Il Paese è molto povero, probabilmente a causa della grande corruzione a tutti i livelli. La distruzione delle foreste da parte di società straniere, con in effetti nessun guadagno reale, né a livello locale né nazionale, è purtroppo ancora considerata una necessità per lo sviluppo. Siamo ancora allo sfruttamento grossolano delle risorse in cambio di quattro soldi. È chiaro invece, dalla mancanza di servizi che prima esistevano, che 20-30 anni fa la gente viveva meglio di oggi.

Nella parrocchia abbondano progetti di classi e di chiese, cose che domandano un tempo notevole al parroco, temo a spese dell’annuncio evangelico, e danno un’immagine di Chiesa che ha soldi, dunque falsando le relazioni fra parroco e fedeli. È una realtà che, io penso, domanderebbe un ripensamento, un aggiornamento delle attività e delle priorità.

Vi sono poche vocazioni sacerdotali in Papua Nuova Guinea, e i missionari diminuiscono. La situazione dell’Amazzonia è – mi sembra – molto simile a quella di molti paesi di missione. Non ci sono soluzioni semplici, è la fede che deve crescere, e il solo modo è l’ascolto in primo luogo della Parola di Dio, la santificazione tramite i sacramenti e una partecipazione più fedele alla vita e preghiera della comunità locale e parrocchiale. Ma mi pare che predomini una mentalità del “fare”, l’essere pratici, efficienti. Io interpreto il mio compito di missionario non solo nell’essere là come sacerdote, senza peraltro incoraggiare chi confonde il sacerdote con un operatore sociale.

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