Hanno caratteristiche diverse le 120 compagnie affiliate a Co.FA.s: alcune più giovani e cresciute di recente, altre più longeve, divenute soggetti storici sul territorio. Come la Filodrammatica Concordia ‘74 di Povo, nata proprio nei primi anni Settanta e arrivata quest’anno alla 33ª edizione della sua rassegna ‘Isidoro Trentin’. Una lunga tradizione, che trova ancora la sua guida nel presidente Carlo Giacomoni.
Presidente, da alcune settimane sono state interrotte tutte le attività culturali sul territorio. Ci sono state conseguenze anche per la Filoconcordia ‘74?
Non per la rassegna, che siamo riusciti a chiudere giusto in tempo. Ma per le uscite degli spettacoli sul territorio, per cui non c’è stato nulla da fare. Speriamo di poter recuperare quelle date in autunno.
La vostra compagnia rappresenta una delle realtà più tradizionali sul territorio. Qual è il legame con la comunità in cui nascete?
Da sempre c’è un rapporto di sostegno reciproco. Per la comunità la nostra associazione è sempre stata importante, anche perché nel tempo abbiamo contribuito a ristrutturare il teatro parrocchiale. Credo che il legame sia poi rafforzato dalla scelta di recitare in dialetto quasi tutti i nostri lavori.
Qual è l’importanza di questa recitazione?
Sicuramente quella di mantenere una tradizione. Ma gli spettacoli dialettali servono anche a divertire di più il pubblico: è la stessa comunità a chiederceli.
L’anno scorso la compagnia ha vissuto delle difficoltà nella dimensione ecclesiale.
Sì. Il parroco, che era arrivato da qualche anno, si è trovato davanti ad un teatro che rendeva poco e ha pensato di chiuderlo. La comunità però è intervenuta e si è riusciti a ripartire. Ne siamo felici, anche se bisogna essere consapevoli che il teatro non porterà grande reddito. Ma questo non toglie che si tratti ugualmente di un servizio importante alla comunità: per il suo valore sociale, più che economico.
Nello scorso numero di Vita Trentina, Marisa Bruschetti del Sipario d’Oro evidenziava l’importanza di coinvolgere maggiormente i ragazzi. Anche voi sentite questa esigenza?
Si, ma purtroppo è difficile trovare giovani, particolarmente maschi, che abbiano voglia di prendersi questo impegno. Forse si dovrebbero organizzare corsi di teatro in paese e partire da lì. Se ci fossero più giovani fra gli attori, sicuramente ce ne sarebbero di più anche fra il pubblico.
Si troverà il tempo per il teatro, secondo lei, una volta chiusa l’emergenza sanitaria?
Il teatro è sempre stato una componente importante della società, per cui credo continuerà ad esserci. Noi speriamo di poter tornare quanto prima perché alla cultura occorre il teatro. C’è bisogno di far incontrare le persone e di farle sorridere, anche nei momenti di difficoltà.
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